Quando Gustaw Herling arriva a Sorrento nel 1943 – fuciliere del Secondo corpo d’Armata polacco del generale Anders che sta risalendo l’Italia – ha alle spalle l’esperienza del gulag sovietico e ha davanti quella dell’esilio. Nato nel 1919, alla spartizione della sua terra tra nazisti e sovietici nel 1939, Herling è tra gli organizzatori della resistenza e viene arrestato dalla polizia segreta di Stalin mentre tenta di raggiungere l’Occidente: dopo la carcerazione, nel 1940 è condannato a cinque anni di gulag, nel campo di Ercevo. Nel gennaio 1942, liberato in seguito all’amnistia per i prigionieri polacchi, cominciano anni di peregrinazione, fino a Kazakistan e Iran, Iraq, Palestina, Egitto per unirsi alla missione militare e per l’addestramento.
A Sorrento, convalescente dopo un ricovero, nel marzo 1944 va in visita a Benedetto Croce. Il filosofo annota nei suoi diari di aver ricevuto quel giovanotto che ha letto le sue opere in tedesco e – sappiamo da Herling – resta stupito nel ricevere informazioni sulla diffusione dell’Estetica e del suo pensiero filosofico in Polonia. Di Croce, Herling diventerà genero, sposandone la figlia Lidia in seconde nozze nel 1951. Intanto ha preso parte alle battaglie di Montecassino e sulla linea gotica. Decorato al valor militare, subito dopo la guerra, a Roma, ha diretto iniziative culturali e letterarie, scegliendo l’esilio dopo Jalta e all’instaurarsi del regime comunista in Polonia. Inizia di lì a poco la pubblicazione della rivista «Kultura», voce decisiva degli intellettuali polacchi all’estero e del dissenso politico contro il totalitarismo.
Una vita così avventurosa, senza tratti estetizzanti, avrebbe potuto dare materiale a schiere di narratori e di memorialisti: in Herling, oltre che a memorabili racconti, ha contribuito alla serietà, a formulare giudizi cristallini, duri e severi, tenendo dritta la rotta verso la giustizia e la libertà. Il libro nato dall’esperienza di Ercevo, Un mondo a parte, tra le prime testimonianze sui gulag a vedere la luce, si è assestato con forza tranquilla nel suo posto di classico, non senza «strane» vicende in Italia: stampato due volte senza nessuna fortuna, ha dovuto aspettare la metà degli anni novanta per rendersi visibile, nel momento di quella che si può pur chiamare la «riscoperta» di Herling, passata in quegli stessi anni per la pubblicazione di una prima scelta di pagine dal suo libro capitale, Diario scritto di notte, e dei suoi saggi, Gli spettri della rivoluzione (entrambi in collaborazione con Francesco Cataluccio), nonché attraverso il rifiuto einaudiano di pubblicare un suo dialogo pensato quale introduzione ai Racconti di Kolyma di Varlam Šalamov.

«Il Mondo» e «Tempo presente»
In Italia Herling collabora dal 1954 al «Mondo» di Pannunzio e poi a «Tempo presente» di Ignazio Silone e di Nicola Chiaromonte; in seguito col Corriere della Sera diretto da Giovanni Spadolini e, per vicinanza con Enzo Bettiza, col Giornale, dal quale si allontanerà in seguito alle aperture di credito concesse da Montanelli al generale Jaruzelski durante la stretta militare nella Polonia di Solidarnosc, che si muove sotto lo sguardo del Papa polacco. Infine, al Mattino di Napoli, la città dove ha deciso di vivere (e dove muore nel 2000), definendosi con umorismo, sulla scia di un film di Totò, il polacco napoletano. Qualche trasferta se la concederà, regolarmente, a Parigi, durante le riunioni periodiche di «Kultura» a Maisons-Laffitte: «continua a scrivere – gli dirà in una lettera del 1972 Zbigniew Herbert, per Herling un’anima fraterna –. I giovani in Polonia ti leggono con entusiasmo. Ciò che preferisco di te è il tuo mélange di collera e di scetticismo» (la si legge in Combat et création).
Fino alla fine detesterà una parola: «riabilitazione», troppo in odore di cattiva fede, perché non si spiegava come mai la riabilitazione dovesse arrivare da coloro che erano accecati nel condannare e che erano sempre lì, sempre gli stessi (o al massimo i loro eredi) a far la morale eterna a chi aveva subito i danni del loro accecamento. L’argomento principe degli scritti italiani di Herling è quanto succede all’Est, con particolare attenzione alle ragioni del dissenso, ma il lettore non dimentica nemmeno per un momento che Herling nasce critico letterario, così che basta talvolta una frase, un rigo appena, a lasciar intendere quanto il suo giudizio debba a quella formazione. Non è un letterato che parla di civiltà e di politica, ma un esule che sa aggiungere allo sguardo politico, civile e morale una tensione della quale solo la letteratura è capace. E sotto gli occhi del lettore passano tanti scrittori, da Pasternak a Solženicyn, da Czapski a Miłosz, e tante idee e riflessioni sull’equivalenza dei totalitarismi e sul male nel Novecento.
Oltre Un mondo a parte, il titolo più celebre di Herling è Diario scritto di notte, che va dal 1970 al 2000: migliaia di pagine pensate e scritte in polacco dove si susseguono articoli, riflessioni, saggi, novelle, commenti: un’opera di grande estensione, un’ampia scelta della quale è stata pubblicata nel «Meridiano» Mondadori Etica e letteratura nel 2019 a cura di Krystyna Jaworska: in coda allo stesso volume, aperto da una irrinunciabile cronologia firmata da Marta Herling, si leggeva il catalogo degli scritti italiani, allora «in preparazione» e che oggi escono in due splendidi volumi: Gustaw Herling, Scritti italiani 1944-2000 (a cura di Magdalena Sniedziewska, pp. XXVIII-1278, Bibliopolis / Instytut Literatury, € 60,00); vi vanno affiancati, per la ricostruzione di molteplici aspetti della biografia e dell’opera, gli interventi contenuti in Gustaw Herling e il suo mondo La storia, il coraggio civile e la libertà di scrivere (a cura di Andrea F. De Carlo e Marta Herling, Viella, pp. 430, € 35,00). Non si può darne conto minutamente, ma sia consentito ricordare l’ampia ricostruzione del sentire geopolitico di Herling di Paolo Morawski e il nome di Wojciech Karpinski, al quale le cose di Herling furono familiari quanto quelle di Chiaromonte e che scrisse (in uno dei saggi usciti in francese sotto il titolo Ces livres de grand chemin) di «un’opera difficile da classificare, che parte per destinazioni diverse e che ricomincia, ancora e ogni volta di nuovo, a definire il posto dell’uomo nel mondo contemporaneo. Un’opera difficile da situare sulla mappa della letteratura: segretamente moderna, si stringe coraggiosamente ai i generi classici».
Un giudizio che si riflette ora sugli scritti italiani, i quali s’inarcano come un’opera dal flusso continuo, che si frange sugli avvenimenti, li avvolge, li riporta a terra, si ricompone: come un diario scritto di giorno che nelle sue singole pagine e nel suo insieme va molto oltre le occasioni all’origine dei pezzi che lo compongono. Un’energia irruenta – che trova oggetti diversi nel corso degli anni e resta fedele a se stessa perché quegli oggetti appartengono a una medesima serie – ma tenuta entro la giurisdizione di una limpidezza argomentativa che va dritta al sodo, alla questione centrale delle cose. Se per assurdo volessimo sottrarre queste pagine all’urgenza della politica e della storia dalle quali furono originate, ne resterebbe una lezione di umanità straordinaria e di stile di pensiero: ma a quell’urgenza non si può né si deve sottrarle. Diventano così il racconto di buona parte del secolo scorso affidato a lettere pubbliche dall’esilio e la testimonianza di una lunga lotta contro la menzogna: vale qui quanto scritto nel Diario: «voglio essere un cronista. La mia ambizione è dipingere, come posso, l’epoca nella quale vivo (…) vedo me stesso come un piccolo autoritratto nell’angolo di un grande quadro».

La polemica su Pasternak
Di tutte le pagine che si potrebbero citare ce n’è una che, nella sua brevità, mi pare esemplare della mente di Herling. 1958: nella polemica sul Dottor Živago la «Literaturnaja Gazeta» cita, tagliando maldestramente, un giudizio di Herling, che così replica sul «Mondo»: i difetti del romanzo non intaccano la grandezza dell’opera: «Dostoevskij ha scritto una sola cosa ineccepibile dal punto di vista della struttura e tecnica del romanzo – Delitto e castigo. Ma ciò non cambia in nessun modo il fatto che – se è ammissibile in casi simili stabilire una graduatoria di valore – la grandezza dei Demoni, dei Fratelli Karamazov e dell’Idiota supera spesso la perfezione narrativa della storia dello studente Raskolnicov». Un esempio minimo e imperfetto della grandezza degli Scritti italiani.