Helmut Newton – foto Ansa

Ci sono volte in cui la vita reale è come un film ma è altrettanto certo che, ribaltando il punto di vista, la finzione cinematografica attinge ai fatti quotidiani, traducendone le ambiguità in un linguaggio di volta in volta realistico, onirico, visionario. Helmut Newton (Berlino 1920 – Los Angeles 2004) è stato un acuto osservatore del suo tempo che ha saputo raccontare storie costruendole con il rigore di un regista e la curiosità dell’uomo comune, talvolta lui stesso protagonista della scena che inquadrava con l’obiettivo della macchina fotografica.

LA RETROSPETTIVA Helmut Newton. Legacy, ideata per celebrare il centesimo anniversario della sua nascita, dopo le tappe di Palazzo Reale a Milano e del Museo dell’Ara Pacis a Roma giunge a Le Stanze della Fotografia di Venezia (fino al 24 novembre) con la curatela di Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino e Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze (iniziativa congiunta di Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini). Nella mostra viene ripercorso cronologicamente il lavoro di Newton con un’ottantina di fotografie in bianco e nero e a colori. All’Isola di San Giorgio Maggiore il valore aggiunto è il nucleo di materiale d’archivio, tra stampe a contatto, riviste e memorabilia che offrono utili elementi nella «collocazione» di questo grande fotografo di moda, autore del celebre volume Big Nudes pubblicato nel 1982, che si è spinto oltre i confini della provocazione, del voyeurismo, della seduzione e dell’erotismo – o, per i benpensanti, pornografia. Partendo dalla sua biografia è fondamentale, intanto, sottolineare l’importanza di due figure femminili: la prima è la fotografa di moda e ritrattista Else Neulander Simon, conosciuta come Yva (morta nel campo di concentramento di Majdanek) autrice, tra gli altri, di raffinatissimi scatti che inquadrano solo gambe femminili. Nel suo studio, a Berlino, l’adolescente Helmut (allora il cognome era Neustädter), che già a 12 anni maneggiava la sua prima macchina fotografica, imparò le tecniche.

Uno scatto per «Nova», 1971

L’ALTRA DONNA – musa ispiratrice e compagna di vita – è June Browne, attrice e modella e poi dal 1970 anche fotografa con lo pseudonimo di Alice Springs; Newton la conobbe a Melbourne e la sposò nel 1948. In Australia era arrivato nel ‘40, dopo una parentesi a Singapore, quando fuggì dalla Germania nazista: paradossalmente finì nel campo d’internamento di Tatura, considerato nemico perché di nazionalità tedesca, prima di arruolarsi volontario nell’esercito australiano. «La fine cominciò il 9 novembre 1938», scrive nelle pagine dell’Autobiografia (Contrasto, 2004) ricordando la Notte dei Cristalli: un giorno, per andare al corso di fotografia e cinema che frequentava durante l’apprendistato da Yva, prese un autobus della linea 19 e seduto al piano superiore vide l’incendio della maestosa sinagoga in Fasanenstrasse e poi, più in là, il frastuono dei vetri rotti preannunciava la distruzione da parte dei nazisti del grande magazzino Grunfeld e di tanti altri edifici commerciali di ebrei.

Denis Curti
In queste immagini accade sempre qualcosa. Le modelle smettono di guardare in macchina e cominciano a recitare per il grande fotografoArrivato a lezione ricevette la telefonata della madre che lo avvertiva di non tornare a casa, facendogli capire in codice che suo padre era stato portato via. Ma lui non avendo che pochi spiccioli in tasca fece un rapido passaggio lì per prendere un rasoio, dei soldi e poco altro. «I nazisti rastrellarono tutta la città per radunare i maschi ebrei e la Gestapo tornò a bussare alla porta di casa mia il mattino dopo. Vissi in clandestinità per due settimane. Durante il giorno giravo in strada – non ci si poteva nascondere da nessuna parte; solo la sera si trovava un rifugio. Dovevo stare molto attento. Ad esempio a non attraversare con il rosso, perché c’era il rischio che mi fermasse un vigile e mi chiedesse dei documenti che non avevo. Se un ebreo veniva sorpreso a non rispettare un rosso finiva dritto in un campo di concentramento. Durante il giorno cercavo di non dare nell’occhio e non sembrare ebreo, insomma di passare come un ragazzino come tanti. Andavo spesso al cinema, assicurandomi sempre di arrivare in tempo per il cinegiornale, perché chi entrava dopo il cinegiornale poteva essere denunciato. Il cinegiornale era pieno di propaganda hitleriana e io restavo lì, seduto con il cuore che mi batteva forte, mentre lui inveiva e farneticava contro gli ebrei. Arrivai sempre in tempo per il cinegiornale».

Karl Lagerfeld per “Chloé”, 1977

La tensione, non a caso, è un’altra componente che attraversa tutta la fotografia di Helmut Newton sin dagli scatti del ‘61 quando si trasferì a Parigi per Vogue France: purtroppo le foto australiane sono andate quasi del tutto perdute. Nel ’64 fotografava per Queen le creazioni «futuriste» di André Courrèges collaborando nel tempo anche con altre riviste, tra cui Elle France, British Vogue, Vogue Italia, Vogue America e Playboy, interprete delle collezioni di Karl Lagerfeld, Yves Saint Laurent, Chanel, Calvin Klein. Per Linea Italiana, ispirandosi a La Dolce Vita, nel 1970 organizzò uno shooting a Roma in cui ingaggiò dei veri fotografi con i loro apparecchi nel ruolo di «paparazzi». Altre volte s’ispirava ai noir di Hitchcock, a Jules et Jim di Truffaut, al film King Kong e altri ancora.

LE STORIE che ha creato per la moda e la pubblicità sono sempre complesse, nate dall’intreccio di riferimenti culturali e popolari, psicologici, estetici: nudi, gioielli, oggetti iconici come le scarpe con i tacchi a spillo – lui stesso li indossa a Monte Carlo con un cappello a tesa larga nello scatto di June del 1987 -, la pelle: Andy Warhol o Jerry Hall con la bistecca cruda sul volto per curare un occhio nero. «È con lui che per la prima volta la fotografia pubblicitaria e di moda abbandonarono la dimensione puramente descrittiva per passare a quella aspirazionale. In queste immagini, e qui sta la grande portata di innovazione, accade sempre qualcosa. Le modelle smettono di guardare in macchina e cominciano a recitare per il grande fotografo tedesco» afferma Denis Curti. Più che donna-oggetto, la figura femminile che egli inquadra appare forte, volitiva, protagonista del presente come Charlotte Rampling quando, nel ’73, posa nuda seduta sul tavolino nella hall dell’Hotel Nord-Pinus di Arles accanto alla chiave della sua stanza. Sembra che proprio questo scatto le diede la forza per girare Il portiere di notte di Liliana Cavani.