Hein de Haas: varcate le frontiere, uomini e donne stipati nei luoghi comuni della politica
Dani Karavan, «Il giardino che non c'è», 2018
Alias Domenica

Hein de Haas: varcate le frontiere, uomini e donne stipati nei luoghi comuni della politica

Saggi « Migrazioni», da Einaudi
Pubblicato un giorno faEdizione del 27 ottobre 2024

Se la geografia sembrava relegata a Cenerentola delle scienze umane e lo spazio divenire un elemento sempre più marginale nell’era della globalizzazione, che procedeva verso la perdita di senso dei luoghi e delle frontiere (per le merci), entrambi si prendono oggi una rivincita: amara, come dimostra il libro del sociologo e geografo, Hein de Haas, Migrazioni La verità oltre le ideologie (traduzione di Michele Martino, Einaudi Stile Libero, 2024, pp. 616, € 24,00), dove alla magniloquenza allarmistico-securitaria dei governanti (soprattutto dei paesi del nord- Europa), così come alla contro-narrazione umanitaria, contrappone, dati alla mano, la realtà di cifre e statistiche spesso molto lontane da quanto sostiene la retorica, proponendo una visione olistica delle migrazioni intese né come problema da risolvere né come soluzione alle incognite del presente. Piuttosto, come quale componente inevitabile della storia durante le grandi trasformazioni economico-sociali che saranno una potenzialità sempre più prossima nell’avvenire.

Hein de Haas si concentra sul proposito di sfatare le leggende sulle migrazioni in ventidue capitoli, ciascuno dedicato a un luogo comune diffuso sui fenomeni migratori, dai presunti livelli record degli spostamenti di uomini di questi ultimi anni, alle frontiere fuori controllo o alle storie di migranti che rubano il lavoro e abbassano i salari, coinvolgendo anche favole come quella secondo cui la tratta dei migranti sarebbe una forma di schiavitù moderna e quella che vedrebbe la migrazione non come un problema, ma come una soluzione alla carenza di manodopera e all’invecchiamento della popolazione.

Al di là dei singoli casi, ciascuno dei quali decostruiti grazie a analisi storiche, giuridiche e, soprattutto, statistiche, de Haas muove dal presupposto per cui la necessità di migrare impone un nuovo paradigma che dovrebbe emanciparsi tanto da assunti allarmistici e catastrofisti, largamente ingiustificati, sia da semplicistiche soluzioni di una integrazione tutt’altro che facile.

Per indicare l’impasse in cui la classe politica e l’opinione pubblica si ritrovano bloccati, parla di «trilemma della migrazione», che rimanda a quel cortocircuito tra il desiderio politico di frenare l’immigrazione, l’interesse economico a incrementarla, e l’obbligo di rispettare i diritti umani fondamentali di migranti e rifugiati.

Nel primo caso, la classe politica occidentale e del nord del mondo, sia progressista che conservatrice (per non parlare di quella a tinte xenofobe) utilizza l’argomento delle migrazioni e dei migranti per tornaconto elettorale, invocando misure di difesa dei confini puramente teoriche, tanto altisonanti quanto inutili ma, sottolinea a più riprese de Haas, controproducenti. La Brexit, per esempio, sembra avere, più che scoraggiato, rafforzato la determinazione di polacchi, romeni e bulgari a mettere radici in Gran Bretagna, tanto che l’immigrazione ha raggiunto paradossalmente livelli record negli anni successivi all’uscita dall’Unione europea. Quanto alle misure tanto simboliche quanto irrealizzabili di muri e recinzioni per frenare le spinte dei richiedenti asilo, queste sono imprese costose, spesso incompiute, che, come i centri di accoglienza «delocalizzati» dall’Italia in Albania, rappresentano la versione iperbolica della sovranità degli Stati, inversamente proporzionale alla loro reale capacità di gestire i conflitti delle società contemporanee.

La crescente domanda di manodopera, per toccare il secondo dilemma, ha spinto, a partire per lo meno dagli anni Novanta, aprendo alla regolamentazione dei flussi per sopperire alla mancanza di lavoratori, soprattutto nei settori agricoli, edili e di una parte del terziario e della logistica, nella sanità e nell’assistenza; ma anche, basti pensare al caso tedesco, nelle grandi fabbriche e più in generale nel settore manifatturiero. Sappiamo che se da un lato si lamenta il pericolo di invasione o addirittura di sostituzione dei nostri lavoratori, dall’altro si tollera lo sfruttamento del lavoro illegale, indispensabile per tutte le economie avanzate e, nel caso di quello legale, si ricorre a persone sovraqualificate.

Infine, nel vicolo cieco della gestione migratoria condotta finora ci si scontra con le difese giuridiche dei migranti, formalmente titolari di diritti consacrati esplicitamente dalle costituzioni nazionali e dai trattati internazionali, ma di fatto discriminati e trattati, nel migliore dei casi, come cittadini di second’ordine.

Apparentemente impossibili da conciliare, gli obiettivi degli Stati che intendono rimanere aperti al commercio, agli investimenti e all’immigrazione e al contempo devono proteggere i diritti dei cittadini, evidenziano il paradosso politico per cui la libertà delle merci passa avanti a quella degli uomini, e i diritti dei cittadini a quelli dei migranti, creando una separazione, non solo giuridica e politica ma anche culturale e simbolica, tra «noi» e gli «altri», tra chi è dentro e chi è fuori, tra i diritti di alcuni e quelli di tutti.

Sebbene l’idea che sottende l’impianto del libro sembri tenere sul medesimo piano le politiche securitarie, larvatamente se non esplicitamente razziste, con quelle di cooperazione e umanitarie, entrambe vittime di un’enfasi più emotiva che altro, l’unica prospettiva sostenuta da Hein de Haas prevede l’accoglienza, l’integrazione, l’apprendimento alla convivenza, e la considerazione delle migrazioni come fattori di sviluppo.

Kein Mensch ist illegal, così suonava lo slogan di una rete accademica che si batteva per il diritto di asilo e a favore degli stranieri senza permesso di soggiorno in Germania, poi dilagata e sostenuta in tutta Europa. Un saggio rigoroso, quello di de Haas, dove diventa evidente come sia possibile alla politica legittimamente inibire le migrazioni o regolamentarle con leggi basate sul calcolo del consenso o su necessità economiche, ma è incompatibile con la condizione umana definire un essere umano illegale e impossibile fermare le trasformazioni globali in corso sigillando i confini.

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