«In Touch» è un documentario su alcuni abitanti di Stare Juchy, un villaggio nel Nord est della Polonia dove un terzo della popolazione è emigrata in Islanda. Mettendo in scena un viaggio visionario il regista Pawel Ziemilski connette chi è partito con chi è rimasto attraverso chiamate Skype o assemblamenti fotografici che annullano le distanze. Più che un film è un percorso audiovisivo e ci si chiede se è nata prima la performance o il documentario. In Islanda le memorie altrettanto «visibili» si sovrappongono le une sulle altre. Gli esterni e gli interni di un semplice villaggio interagiscono con i colori lividi dei paesaggi nordici. Non c’è un lieto fine, solo una toccante testimonianza di una emorragia demografica ma anche sociale e culturale; un innesto in un angolo di mondo remotissimo che può sorprendere per calore umano ma che non silenzia una vita difficile.
«Our notion of homeland is what we see, but home is the belief in what we feel» così parlò Merab Mamardashvili, filosofo georgiano. Così la citazione apre il film «Little Man, Time and the Troubadour» dell’olandese Ineke Smits. Il cantastorie del titolo è l’artista Sipa Labakhua che gira per l’Abcasia con il suo teatro di marionette. Le sue storie di strada un po’ surreali e un po’ autobiografiche affondano nella figura del padre, un politico idealista che durante la guerra con la Georgia negli anni Novanta fu costretto a rifugiarsi a Mosca. Sipa torna nella terra natale e assieme agli spettatori del suo teatrino, preti ortodossi, rifugiati siriani, contadini georgiani ed artisti russi, si interroga sul concetto e sul sentimento di nazione e casa. Musica, ricordi di guerra e immaginazione, sullo sfondo di un territorio tanto complesso quanto incantevole alla ricerca di una propria personale storia di fondazione. Infine, per la serie «prendete l’autobus» per conoscere la gente: «The Diviners» dell’ucraino Roman Bordun. I protagonisti del suo lavoro sono gli abitanti di Lviv, Kiev e Odessa, colti in scene quotidiane non edulcorate: un bizzarro diario filmico. L’effetto iniziale è quello di un puzzle sconnesso e solo in un secondo momento si coglie il senso metaforico del documentario. Sganciata dalla realtà è l’umanità di questo Paese diviso, in una relazione complicata con Russia ed Europa. Bordun gira e non giudica, lascia parlare gli ubriachi così come la gente sulle panchine, contrappone le stagioni e le contraddizioni. Tutto scorre, tutto in Ucraina si lascia accadere. Dove ti senti a casa? Chiesi un giorno ad una artista italiana trasferitasi a Berlino, «Sono io casa», mi rispose senza fare una piega.

https://natashaceci.com/