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Heaney, sempre il personale come politico

Heaney, sempre il personale come politicoSeamus Heaney nel gennaio 2000 ritratto da Dominic O’Brien – Fairfax Media via Getty Images

Heaney a dieci anni dalla morte «Lo Specchio» Mondadori accoglie le «Poesie» scelte dall’autore stesso, a cura di Marco Sonzogni

Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 settembre 2023

Il 30 agosto 2013 Seamus Heaney morì nel corso di un’operazione chirurgica di emergenza: poco prima aveva mandato alla moglie Marie un messaggino: «Noli timere». Latino e conforto, un’ultima occhiata positiva ai doni della vita. Il collegiale convittore che aveva sudato su rosa rosae sessant’anni prima… Era arrivato a Belfast da una famiglia cattolica contadina, primogenito, aveva passato i primi anni in un casolare col tetto di paglia dove alle camere abitate si affiancava la stalla. Gli pareva di ricordare quando stava nella culla, a Mossbawn, e una zia faceva il pane. «C’era un’assenza assolata, / La pompa con l’elmo nel cortile / riscaldava il suo ferro, / l’acqua spumava come miele // nel secchio appeso / e il sole era appoggiato / come una piastra a raffreddare contro il muro // di ogni lungo pomeriggio. / Così le sue mani si accapigliavano / sulla madia, / la stufa rosseggiante // mandava la sua placca di calore / contro lei in piedi / nel grembiule infarinato / accanto alla finestra…». È una povera copia di un Vermeer, commentava Heaney, sempre modesto. C’è il ricordo dettagliato, ritrovato, ricreato, e c’è il dono della forma, quartine esatte di versi di poche sillabe: «And the sun stood / Like a griddle cooling / Against the wall // Of each long afternoon». Lo spazio fra le due quartine esalta l’enjambement e la metafora ardita: «il muro… di ogni lungo pomeriggio». Cosa sarà il muro del pomeriggio? E si veda la stoccata finale della scena nella settima e ultima quartina. La poesia, «Sunlight», è la prima delle due intitolate «Mossbawn». Il semplice originario si unisce all’arte consapevole senza disperdere l’immediatezza dello stato d’animo. Un interno rurale del 1940, Irlanda del Nord, sicurezza, vita, amore, gesti quotidiani in un mondo che si rivelerà complesso e anche sanguinario.

E infatti «Mossbawn» apparve nella raccolta North (1975), la quarta di Heaney, che fin dal titolo guarda ai fatti d’Irlanda, ma anche fin dal titolo li proietta in un contesto mitico, antropologico. Qui appaiono poesie fra le sue più note, descrizioni di vittime sacrificali preistoriche rinvenute perfettamente conservate nelle torbiere dello Jutland. La ragazza decapitata, rasata come le ragazze cattoliche dell’Ulster punite per aver amoreggiato con i soldati britannici. E Heaney racconta direttamente la propria biografia personale e politica, riprendendo il modello del Preludio di Wordsworth: «Nelle vacanze lunghe, poi, venni alla vita / sul sedile per i baci di una Austin 16, / parcheggiata di fianco a una casa a motore acceso, / le mie dita strette come edera sulle sue spalle, / una luce lasciata accesa per lei in cucina. / E tornando a casa, la libertà estiva / sempre più ridotta di notte in notte… poliziotti / brandivano torce rosse, stringendosi attorno / all’auto come una mandria nera, fiutando e puntandomi / la canna di uno sten nell’occhio: / ‘Il tuo nome, autista?’ / ‘Seamus’ / Seamus?». Seamus (che si pronuncia /sheimus/) e Sean sono forme irlandesi di James, dunque subito riconoscibili, sospette e forse per i poliziotti risibili. E ora invece è un nome che tutti conosciamo, se abbiamo qualche pratica di letteratura degli ultimi quarant’anni.

La poesia da cui riportavo la scena del corteggiamento del giovane Seamus e il posto di blocco che vi segue (e anche il corteggiamento in fondo è bloccato dalle regole della comunità e dall’inesperienza della postadolescenza) si chiama «Il ministero della paura» (sempre in North) e infatti conclude: «L’Ulster era britannico, ma senza alcun diritto / sulla lirica inglese: ovunque attorno a noi, anche / se non lo chiamavamo così, il ministero della paura». Questo «ministero» allude ironicamente a quello che Wordsworth scrive della paura formatrice ispirata dalla Natura madre severa e amorosa («the ministry of fear»), ma ovviamente è ben diversa la paura del giovane autista davanti a una pistola e ai poliziotti britannici. E poi alludendo al grande padre Wordsworth Heaney implicitamente rivendica il suo diritto sulla lirica inglese di cui egli è erede consapevole. Ed educato attraverso la «paura» a recuperare un nucleo intatto di epifanie, momenti di esperienza preziosi, gioiosi o dolorosi. Ma presenti, fissati attraverso il lavoro sulla lingua e sul verso. Heaney è un maestro della forma che dispone di un contenuto condiviso con i lettori, che come lui e attraverso di lui cercano delle risposte. Un album di foto personali in cui più di una generazione si è ormai riconosciuta.

Dopo la pubblicazione di North, nel 1976 Heaney si trasferisce con la famiglia da Belfast a Dublino, lasciandosi alle spalle l’occupazione militare, esecuzioni, rappresaglie, scioperi della fame, per essere più libero e centrato con i suoi, ma senza rinunciare a parlare nei suoi testi con mirabile vigore di quanto avviene a nord. La raccolta successiva, Field Work, contiene felici momenti lirici (i «Sonetti di Glanmore») ma anche la cronaca di quel che il poeta ha dovuto (scelto di) lasciare: «Una mattina di buon’ora mi imbattei in un convoglio / di autoblindo, che gorgheggiavano su potenti pneumatici / mimetizzate con rami spezzati da ontani, / e soldati con cuffie auricolari in piedi su torrette» («La strada di Toome»). Sempre il personale come politico. Il racconto di una vita con i suoi fatti minimi che riflettono fenomeni ampi e luttuosi. Heaney aveva fatto in tempo a vedere i soldati che si preparavano per lo sbarco in Normandia. E scriverà una poesia, in imitazione di Orazio, sull’11 settembre: «Tutto può accadere, le torri più alte // abbattute, chi sta in cima avvilito / chi in basso valutato…». E siamo in District and Circle, la penultima raccolta (intitolata alla metropolitana di Londra, altro luogo di attentati), cui seguirà il congedo di Catena umana (2010), dodicesima raccolta in 44 anni.

Una messe rigogliosa di poesia in cui il magistero espressivo si incontra sempre con la cosa vista e sentita, e si passa dal pellegrinaggio dantesco di «Station Island», uno dei testi centrali, alla cronaca famigliare. La poesia giovanile sulla morte del fratellino investito mentre giocava per strada accanto a casa, molto controllata nella esposizione degli eventi, commuove lettori e ascoltatori, giacché Heaney è un lettore magistrale, non enfatico, tranquillo e sicuro. Il titolo «Mid-term Break» («Vacanza di metà trimestre») si riferisce al fatto che il giovane convittore viene richiamato a casa per il funerale del piccolo («Quattro piedi di bara, uno per ogni anno»). È un titolo anodino per contenere il lutto. E Heaney ha scritto con altrettanta pacatezza della morte dei genitori e della loro vita di fatica e affetto contenuto. Il padre dice alla moglie solo quando non può sentirlo che è stata una «good girl». Impariamo qualcosa su questo Ulster proverbialmente alieno dalle esibizioni di sentimenti, legato un tempo ai riti del rosario serale, dei rapporti guardinghi con i vicini dell’altra confessione, se c’erano. Poesia che è anche documento storico.

«Non c’era la luce a Mossbawn», ricorderà Heaney, «l’acqua si attingeva alla pompa. Ho 70 anni, ma è come se fossi nato nel medioevo».

Un altro secchio appare nella poesia «Un sorso d’acqua», evocazione di una vicina: «Veniva ogni mattina ad attingere» (quella degli Heaney era l’unica pompa) «come un vecchio pipistrello percorrendo barcolloni il campo: / la pertosse della pompa, lo strepito del secchio / e il lento diminuendo mentre si riempiva / la annunciavano». Da lontano riappare il ricordo. Come quello di quando a un anno o poco più scese per la prima volta dal lettino sulla terra battuta o il cemento. Ricorda ancora quello che provò. Sicurezza. Che ebbe la fortuna di non perdere mai in tanti anni. Lavorava sulla ricerca del tempo perduto. A poco a poco le sensazioni si ripresentavano. «Emotion recollected in tranquillity», come diceva Wordsworth.

Della sua sterminata produzione ed evocazione Heaney scelse circa 250 poesie per due fortunate autoantologie, riprese ora nello «Specchio» Mondadori (Poesie, a cura di Marco Sonzogni, pp. 992, € 25,00), con il testo del discorso per il Nobel del 1995, «Sia dato credito alla poesia». Proviamoci. Heaney non è sempre immediatamente comprensibile. Il lettore aprirà questa antologia affidandosi alla fortuna, oppure leggerà con impegno le lunghe sequenze come «Station Island», le variazioni su Dante e Virgilio e l’antica lirica irlandese. Se sufficientemente incuriosito, potrà ricorrere alle esaurienti annotazioni che accompagnano le stesse poesie nell’omonimo «Meridiano» del 2016. Ma in fondo le poesie senza note sono allo stato naturale. Ascoltiamole. E in Heaney c’è molta gioia e commozione da condividere immediatamente: «Il letto del fiume, secco, mezzo pieno di foglie. / Noi che ascoltiamo un fiume dentro gli alberi». Cioè in inglese: «The riverbed, dried-up, half full of leaves. / Us listening to a river in the trees». Mille pagine di poesia. Ma poi basta già un distico per parlarci.

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