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Haute Couture, nel vortice di uno splendido passato

Haute Couture, nel vortice di uno splendido passatoValentino Haute Couture

ManiFashion Sia pure ridotte di calendario (7 grandi Maison francesi tra cui Chanel e Dior, e 3 italiane, Valentino, Armani e Versace), la couture racconta ancora bene la storia di conservazione di un patrimonio speciale

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 31 gennaio 2015

Finite le sfilate di Parigi, si può ben dire che il rischio che corre la Haute Couture è di riportare a valore le belle cose vecchie di ottimo gusto. Sia pure ridotte di calendario (7 grandi Maison francesi tra cui Chanel e Dior, e 3 italiane, Valentino, Armani e Versace), la couture racconta ancora bene la storia di conservazione di un patrimonio speciale, una manifattura altamente specializzata della quale la moda oggi non può fare a meno. Tanto è vero che perfino quello che ci ostiniamo a chiamare prêt-à-porter, e che in realtà è un’alta moda industriale, ne fa un grande utilizzo. La manualità, quindi, come innovazione. E questo può essere coerente. Quello che, invece, resta da capire è sul perché una moda composta con dei pezzi unici su misura abbia bisogno di riferirsi al passato per trovare una giustificazione nell’oggi.

Per esempio, Raf Simons per Dior rilegge i tre decenni coraggiosi del Novecento (50, 60, 70), Karl Lagerfeld per Chanel si riferisce al giardino incantato di Henri Rousseau, Schiaparelli riporta alla luce tutti i codici che la fondatrice ha immaginato insieme ai Surrealisti, Valentino ricama le parole d’amore e i miti dell’amore dall’Olimpo a De André passando per Chagall.

Forse, questa continua rilettura di un passato glorioso è condizionato proprio dal cliente di riferimento e anche della manodopera. Quando agli inizi degli Anni 80 Francia, Gran Bretagna e Italia hanno razionalizzato l’industria tessile europea la Francia, nazione che fa della moda una espressione culturale della grandeur, ha dichiarato patrimonio nazionale gli atelier della couture e li protegge con una legge apposita, oltre a favorire il mecenatismo da parte dei gruppi e delle aziende del settore. Chanel, per esempio, ha comprato sette atelier storici e, oltre a utilizzarli per le proprie lavorazioni, li lascia liberi di lavorare per i marchi concorrenti. Per questo, Lesage, grande ricamatore storicizzato dai suoi capolavori, lavora per tutte le Maison di Couture di Francia e qualche italiana. L’età media della manodopera, però, è altissima.

Secondo Pierpaolo Piccioli, che con Maria Grazia Chiuri è alla direzione creativa di Valentino, la moda, soprattutto quella della couture, non si riferisce all’oggi perché nella nostra contemporaneità non scorge nessun valore universale sul quale appoggiare la ricerca e l’elaborazione del futuro. Piccioli sogna di aprire una scuola di couture che si appoggi all’atelier di Valentino a Roma perché questa manualità essenziale possa essere trasferita ai giovani. Altrimenti, come sintetizza Donatella Versace, alla nostra epoca le rimarrà solo la tecnologia.

Eppure, appartiene proprio al mondo della moda la curiosità di chi immagina il futuro. Tanto è vero che a Londra sono già esauriti i biglietti di Savage Beauty, la mostra al V&A Museum che aprirà fra due mesi dedicata ad Alexander McQueen, grande e coraggioso immaginatore e innovatore che, nella sua breve esistenza, alla moda ha lasciato il ricordo di una Nuova Atlantide.

manifashion.ciavarella@gmail.com

 

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