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Harry Carey, John Ford, epifanie del western

Harry Carey, John Ford, epifanie del western

Giornate del cinema muto di Pordenone 2023 Il festival promette in apertura un weekend di fuoco con cinque titoli, i frammenti e un lungo dedicati a quella che Ford definì «stella splendente del primo firmamento western»

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 7 ottobre 2023

«Stella splendente del primo firmamento western»: chi meglio di John Ford avrebbe potuto consacrare, con queste parole (nella mirabile traduzione di Piera Patat), il mito di quello che non solo è stato il grande attore dei suoi primi western muti, ma anche dopo la separazione è rientrato nel suo cinema, modellando i gesti di John Wayne e facendovi apparire il figlio Harry Carey Jr.?

Ë un inizio davvero fulminante quello del primo weekend delle Giornate del cinema muto di Pordenone: 2 soli slot, 5 titoli in tutto tra film interi e frammenti, e uno solo è firmato John (allora Jack) Ford, ma che delineano un progetto Ford che sembra giusto esigere dalle Giornate, che realizzarono l’epocale «Progetto Griffith» e che nelle prime edizioni trattarono anche altre figure del western (come Ince). Si sa già infatti che due altri frammenti ritrovati di Ford con Carey sono riapparsi ma non potevano essere restaurati per questa edizione: The Secret Man alla Library of Congress dove già il titolo sigilla un capolavoro, e Desperate Trails alla Cinématèque française, dopo che quelli fin qui apparsi provenivano perloppiù dall’archivio di Praga. E nei passati ritrovamenti brillano alcune stelle italiane: Ciro Giorgini aveva fatto conoscere il primo capolavoro della coppia Ford-Carey, Straight Shooting, facendone girare in Italia un 16mm; e Livio Jacob, il presidente delle Giornate, aveva monitorato le ricerche del grande Kevin Brownlow localizzando Hell Bent, il sublime film di Ford con Carey che viene riproposto quest’anno.
Aggiungiamo allora che Davide Turconi, Tino Ranieri e Angelo Raja Humouda sono stati gli altri pionieri italiani del West, insieme ai francesi Mitry, Rieupeyrout e Tailleur, e che oggi l’udinese Carlo Gaberscek raccoglie la staffetta come massimo esperto mondiale di set western.

Il catalogo ripubblica molto opportunamente la lettera che Carey figlio inviò nel 1988 a Brownlow in occasione della prima proiezione in epoca sonora di Hell Bent a Pordenone e che fu pubblicata sulla gloriosa Griffithiana fondata da Humouda.

Ai due slot Carey-Ford il weekend di fuoco pordenonese aggiunge l’evento serale (nella sezione del canone curata da Paolo Cherchi Usai) di Hell’s Heroes di William Wyler, che nel 1929 girò sia in versione muta che sonora questo film, che è il remake di Marked Men girato dieci anni prima da Ford con Carey, e che tanto vorremmo poter vedere. Ford ne fece un ulteriore remake nel 1948 intitolato 3 Godfathers ovvero In nome di Dio con protagonista John Wayne e accanto a lui Harry Carey Jr. Wyler racconta a Brownlow che Ford sul letto di morte gli disse: «adesso tocca a te un altro remake». Battuta amicale ma che fa intuire che Ford parlasse di una sfida impossibile.
Singolare che su questa storia si siano incontrati due registi agli antipodi come Ford e Wyler, sorgivo il primo, calcolato il secondo. Wyler ha fatto fino alla vecchiaia film apprezzabili, ma oggi fanno ridere i tentativi di preferirlo a Ford da parte del pur apprezzabile cineasta Roger Leenhardt, e indubbiamente anche Bazin lo sopravvalutò unendolo a Welles (e al direttore della fotografia Gregg Toland) come cineasti della profondità di campo. E per fortuna Wyler non raccolse la battuta di Ford e non realizzò un ulteriore remake.

Ma di cosa tratta la storia di Peter B. Kyne, che ebbe ben tre altre versioni in epoca muta? Di queste è importante la prima, Broncho Billy and the Baby di cui è protagonista il primo importante attore western, Gilbert M.«Broncho Billy» Anderson, colui che oltre le apparizioni di Tom Mix e Willliam S. Hart meglio si congiunge con Harry Carey in un’umanizzazione del cowboy che nulla perde del suo carattere mitico, picaresco, gauchesco. La storia racconta di un orfano trovato da tre malandrini del West, il che li rende padri, tre magi che non solo omaggiano Gesù ma che si assumono i ruoli di Giuseppe, Maria e forse anche della Maddalena.

Una moltiplicazione dei padri che non può annullare l’universale destino di orfano, dove il western tocca la massima consapevolezza di essere non solo americano ma universale, la vera Bibbia dei tempi moderni. Della quale John Ford è ovviamente il più alto profeta, e Harry Carey padre e figlio (con John Wayne a completare la trinità) le incarnazioni più perfette del destino umano.

Come tutti i cineasti davvero grandi, e non solo abili, Ford non limita la sua presenza d’autore ai soli film che firma: lo prova eminentemente il suo capolavoro della vecchiaia Young Cassidy (Il magnifico irlandese) che seppur concluso da Jack Cardiff è Ford puro. Il periodo Universal di Harry Carey è tutto segnato dall’incontro con Ford, e quando il regista passa alla Fox e invece Carey resta all’Universal, i film di Ford evocano nel fuoricampo, e con fugaci ritorni in campo, la figura di Carey che per lui non era certo un attore tra tanti ma l’incarnazione assoluta del cowboy. E dato che Ford ci mise oltre un decennio a integrare nel suo cinema John Wayne, viene da pensare che ciò potè avvenire solo trasmettendo a Wayne l’assolutezza dei gesti di Carey. E l’apparizione del figlio Harry Carey Jr. è la vera epifania.

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