Harding e Tosca inaugurano Santa Cecilia
Giuseppe Verdi, a proposito del dramma di Victorien Sardou, La Tosca, che vide a Milano nel 1892 recitata da Sarah Bernhardt, confessò che il soggetto gli piaceva e se fosse stato più giovane lo avrebbe volentieri messo in musica. Disse anche che il successo era dovuto più alla bravura dell’attrice che alla bellezza del testo.
La prima parigina, il 24 novembre 1887, al Théâtre de la Porte Saint-Martin, fu ostacolata da incredibili opposizioni di scrittori che accusavano Sardou di plagio. Le accuse caddero nel nulla, fu un successo quasi trionfale. Erano del resto proprio i successi dei suoi drammi a suscitare le invidie dei drammaturghi rivali.
Sardou si era ispirato a un fatto accaduto durante le guerre di religione in Francia, ma trasportò la vicenda a Roma all’epoca della discesa in Italia di Napoleone. La storia tragica del pittore fucilato e della cantante suicida veniva così inserita in un bozzetto storico che contrapponeva la Rivoluzione francese e gli impeti libertari suscitati in Italia alla Reazione papalina.
Ricordi strappò a Sardou l’assenso per una trasposizione melodrammatica, e il compositore sarebbe dovuto essere Alberto Franchetti, ma si impose alla fine Giacomo Puccini, che ci lavorò dal 1896 al 1899. L’opera andò in scena al Teatro Costanzi di Roma, l’attuale Teatro dell’Opera, il 14 gennaio 1900.
Giacosa e Illica ridussero i cinque atti originali in tre, la compattezza dell’azione ne guadagnò, e infatti il libretto risulta drammaturgicamente più compatto. Il titolo diventò Tosca, sottraendo, ma solo nel titolo, l’allusione all’attrice, alla cantante, che è il ruolo della protagonista.
L’interesse della vicenda è più centrato sulle passioni dei personaggi che sul quadro storico. Puccini asseconda con la musica questo cambio di prospettiva; ma non cancella il lato storico e politico della vicenda.
Basterebbe, nel secondo atto, il tono di sfida con cui Cavaradossi, alla notizia della vittoria di Napoleone a Marengo, grida «Vittoria!»: non è una concessione teatralmente d’effetto all’eroismo patriottico del pittore, ma un tratteggiare ciò che lo contrappone ideologicamente alla repressione reazionaria di Scarpia.
Nell’anno delle innumerevoli celebrazioni che in Italia si dedicano al centenario della morte di Puccini, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha scelto proprio Tosca, che sarà eseguita domani in forma di concerto, come pagina per l’inaugurazione della prossima stagione sinfonica.
È anche il primo titolo del nuovo direttore dell’orchestra, Daniel Harding, che succede ad Antonio Pappano. Un atto quasi dovuto, in un anno in cui Puccini occupa pressoché tutti gli spazi dei teatri e delle istituzioni concertistiche italiane. Il che non aumenta certo la sua fama, ormai consolidata nel mondo intero.
Quest’anno ci sarebbe anche, fra l’altro, la doppia ricorrenza di Bedrich Smetana (nato nel 1824 e morto nel 1884) del quale sarebbe stato interessante ascoltare La sposa venduta, opera tra l’altro molto ammirata dallo stesso Puccini, al punto da usarne il tema dell’ouverture come tema iniziale di Madama Butterfly, con evidente allusione alla vendita della sposa.
Ma è un po’ tutta la stagione di Santa Cecilia a inseguire il consenso della maggior parte del pubblico, rinunciando a sfidarlo con proposte pescate tra musiche delle avanguardie novecentesche e brani contemporanei. Solo due, sono nella stagione, le musiche nuove di compositori viventi. E per il resto il Novecento, che ormai è il secolo scorso, si arresta, per lo più, a musiche della sua prima metà.
Mahler, Strauss, Šostakovic, che s’inoltra anche in parte della seconda metà del secolo, sono giganti, ormai consolidati nelle abitudini di ascolto del pubblico di oggi. Sarebbe così azzardato sfidarne le abitudini più conservatrici e stimolarne qualche curiosità per ciò che si è scritto negli ultimi anni.
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