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Hanno ucciso l’antitrust

Televisione Messo in soffitta dal renzismo come pure la regolazione del conflitto di interessi, in ossequio al "patto del Nazareno"

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 10 settembre 2015

«Hanno ucciso l’uomo ragno», cantava Max Pezzali con gli “883”. Hanno ucciso l’antitrust televisivo, potremmo ribadire in coro. Infatti, nel discorso pubblico se ne sono perse le tracce, fatta salva qualche esternazione generale e generica.

Del resto, la rimozione di ogni conflitto è una chiave delle linee di Renzi. Di qui, non da un accidente, deriva la recente omologazione tra berlusconiani e antiberlusconiani fatta dal premier: il “patto del Nazareno” così è ovvio, oltre che buono e giusto. In tale temperie, per dirla come nei romanzi, la regolazione del conflitto di interessi e una decente normativa antitrust sono state messe in soffitta. Vicende del Novecento, è persino sfuggita la battuta a qualcuno. Se sul primo argomento per lo meno c’è la sceneggiata del vai e vieni tra aula e commissione competente, il problema delle concentrazioni pubblicitarie e televisive è uscito di scena.

La discussione e la pur timida iniziativa sulla materia si dipanò lungo gli anni Ottanta e assunse le tinte del dramma quando il centrosinistra al governo (diviso e troppo acquiescente) perse l’occasione storica. Non mancò un complesso legislativo notevole, pur ondivago e fragile sulla nota vicenda di Retequattro. Tuttavia, la legge n. 249 del 1997 appose limiti antitrust: non più del 20% delle reti nazionali ; un tetto alle risorse per i vari soggetti, vale a dire il 30% per i singoli settori mediali e il 20% per il sistema.

Nell’articolo 2 della cosiddetto Maccanico, quel confine è ben circoscritto. I proventi riguardavano la pubblicità, le televendite, le sponsorizzazioni, le convenzioni con soggetti pubblici, il canone della Rai e le entrate dei giornali. Con un calcolo approssimativo in euro si trattava, all’epoca, di circa 3,5 miliardi. Sia Mediaset sia la Rai erano al di sopra. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, istituita dal medesimo articolato, aspettò il 2005 per varare una delibera (136/05) con gli approfondimenti operativi.

Però, nel frattempo era arrivata la legge Gasparri del 2004, sussunta dal Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici del 2005. Appunto. Perché l’Agcom non si mosse prima? A quel punto, il pasticcio era fatto. Il Decreto legislativo n.177 all’articolo 43 estende il denominatore di calcolo inserendo voci estranee alla ratio dell’antitrust televisivo come i libri, i dischi e il cinema, o di improbabile definizione nel caso del «tramite di Internet».

Ora, con l’arrivo degli “Over the top” come Google, con il fatturato cresciuto di dodici volte in un decennio, siamo di fronte all’oceano. È ciò che l’ex ministro Gasparri, indicando curiosamente il tablet, chiama il Sistema integrato delle comunicazioni (Sic). Sic! Fu (e rimane) una colossale presa per i fondelli, a dispetto di un’importante sentenza della Corte costituzionale pressoché coeva (n.155 del 2002) e in barba al messaggio alle Camere del presidente Carlo Azeglio Ciampi (23 luglio 2002).

Sempre l’Agcom ha approvato nel frattempo altre delibere, arrivando solo nel 2015 (286/15) ad avviare con tanto di relatori il procedimento concreto per la definizione delle posizioni dominanti, istruito da un faticoso regolamento approvato nel 2014 (368/14), con due anni di incubazione e dopo uno scontro vero e proprio avvenuto nel 2010, che diede luogo a maggioranza (con l’opposizione dei consiglieri D’Angelo, Lauria e Sortino) ad una discutibile metodologia di rilevazione dei mercati di riferimento, che escluse la pubblicità da quelli su cui lavorare. E solo nel marzo scorso l’Autorità (358/15) ha stabilito l’ammontare recente (lasciamo stare) del Sic, riferito al 2013: 17,637 miliardi di euro, in discesa del 7,2% rispetto all’anno precedente.

La crisi, d’altronde, c’è, si sente e si vede. Come volevasi dimostrare, le percentuali dei gruppi sono comunque assai al di sotto del confine del 20%, grazie al modello di calcolo stabilito dalla scandalosa legge berlusconiana: 15% Sky, 14,9% Fininvest (Mediaset e Mondadori), 14,1% Rai, 3,7% Espresso, 3,2% Rcs, 49,8% il resto. Con l’ingresso nel computo di Google e simili, il Sic diverrà via via mera carta straccia.

Fino a quando si potrà tollerare una situazione così clamorosa e abnorme? L’Europa è in sommovimento, ma nei media l’Italia non ci è mai entrata. Unica soluzione: chiudere con il berlusconismo, che ha nel Sic l’inveramento materiale. Basta un articolo abrogativo. Una sineddoche al rovescio. Il tutto sta nella parte.

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