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Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato Pd

Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato PdGentiloni, Veltroni e Renzi all'Eliseo per i dieci anni del Pd – LaPresse

Democrack Sul palco del teatro Eliseo di Roma un decennale tragico, pieno di omissis e di assenti, alla ricerca disperata del «voto utile». Renzi agita lo spauracchio di Arcore: «Il nostro avversario è la destra di Salvini e Berlusconi». Appunti per dopo il voto: «l’Italia non può più conoscere maggioranze spurie», giura Veltroni

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 15 ottobre 2017

Oddio che mestizia! Più che la gagliarda celebrazione della nascita di un partitone, giusto 10 anni fa, questa festicciola all’Eliseo sembra la triste festa di provincia, andata male e finita peggio, cantata da Guccini in una delle sue più deprimenti canzoni.

I maestri di cerimonia, Walter il Fondatore, Matteo l’Erede, Paolo il Reggente, ci provano a mimare entusiasmo e vitalità, ma il risultato è increscioso. L’unico che rialza un po’ il morale è proprio Gentiloni, che almeno ha il dono di non prendersi troppo sul serio.

«IL PD È IL PD», esordisce lapalissiano per poi prendersi subito in giro da solo: «Che frase storica». Prosegue con un prudente: «Il progetto, bene o male, è riuscito» e si abbandona poi a un «Il Pd è vivo e lotta insieme a noi» che evoca ogni sorta di scongiuri, essendo appunto lo slogan che si urlava nei cortei quando qualcuno trapassava.

Forse i toni giusti sarebbero stati proprio questi: l’ammissione, sia pure tra le righe, che in questi dieci anni qualcosa non ha funzionato e il massimo sforzo di generosità possibile è proprio dire che «Bene o male il Pd c’è». Perché altrimenti non ci sarebbe bisogno di dissertazioni per smentire gli applausi che Veltroni e Renzi tributano a se stessi. Basta questa platea, con le sue innumerevoli assenze.

[do action=”quote” autore=”Arturo Parisi (non invitato)”]«Sembra una veglia funebre»[/do]

DEI FONDATORI DEL PD c’è solo Walter, con alle spalle una sfilza di sconfitte, sue e dei successori, che consiglierebbe come minimo accenti più pacati.

L’OSANNATO PRODI neppure è stato invitato: avrebbe rovinato la lieta occasione col suo vagone di critiche. Di Enrico Letta nemmeno a parlarne. Parisi ha disertato, non senza dispensare prima un commento al cianuro: «Sembra casomai una veglia funebre». Giorgio Napolitano, furibondo, dirà la sua nell’aula del senato tra una decina di giorni, e picchierà durissimo. Bersani e D’Alema sono finiti nella lista nera dei traditori, odiati da una platea folta solo di fedelissimi, molti forti di un bel ministero, qualcuno, ma nemmeno tanti, solo della fede renziana.

Per colmo di sfregio, hanno scelto di svignarsela anche i leader della minoranza, come il ministro Orlando, il governatore Emiliano e Gianni Cuperlo. Politicamente, la sala dell’Eliseo è un deserto.

Ad ascoltare Walter Veltroni, incaricato di aprire le danze, è inevitabile chiedersi se nel suo animo gentile non alberghi un qualche imbarazzo quando cita a più riprese appunto Prodi, l’indesiderato, e quell’Ulivo che all’Eliseo è invece latitante. Quello di Prodi «è stato il miglior governo nella storia repubblicana», si commuove il nostalgico, che del resto del governo-campione era vicepresidente. Ad abbatterlo, prosegue, sono stati «i due mali storici della sinistra: il massimalismo e le divisioni».

Ricordare che in quelle divisioni l’allora partito di Veltroni e D’Alema non giocò un ruolo secondario o citare il secondo governo Prodi, sgambettato tra i primi proprio dal commosso oratore, sarebbe inopportuno.

[do action=”quote” autore=”Matteo Renzi”]«Se non ci fosse stato il Pd, la sinistra italiana sarebbe irrilevante»[/do]

MA QUESTI SONO particolari. La voragine che il fondatore del Pd preferisce ignorare è che, per capriccio del caso malizioso, la decima candelina sulla torta nazarena viene spenta proprio mentre il Partito impone una legge elettorale destinata a diventare pietra tombale sul miraggio del «partito a vocazione maggioritaria».

Ma di altri contenuti, a parte le banalità sull’unità che è meglio delle divisioni o sulla libertà che sarebbe d’uopo coniugare con la giustizia, nel Pd veltroniano non ce n’erano.

[do action=”quote” autore=”Walter Veltroni”]«L’Italia non può più conoscere maggioranze spurie»[/do]

DIECI ANNI DOPO, Veltroni torna al punto di partenza. Si augura che il partito vocato a non allearsi stringa solide alleanze. Queste, insegna, «si fanno prima e ci si presenta ai cittadini».

L’Italia, parola sua, «non può più conoscere maggioranze spurie». Detto in questo momento, quando anche i frequentatori dell’ultimo bar di provincia sanno che in cantiere c’è appunto l’alleanza più spuria, quella con Forza Italia, sembra un’affermazione azzardata.

In realtà è una precisa strategia propagandistica in vista della campagna elettorale.

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Il Condottiero, Matteo Renzi, rileva la palla alzata dal Maestro e rilancia alla grande: «L’avversario si chiama destra. Esistono due tipi di destra, quella populista dell’M5S e quella, più forte e preoccupante, di Berlusconi e Salvini. Abbiamo di fronte un corpo a corpo in tutti i collegi con il centrodestra».

[do action=”quote” autore=”Matteo Renzi”]«Nei collegi sarà un corpo a corpo con il centrodestra»[/do]

È il piano di battaglia che Renzi ha illustrato più volte a porte chiuse: invocare il voto utile contro Berlusconi, spauracchio resuscitato, salvo poi allearsi, da posizioni forti, con il medesimo babau di Arcore.

FORSE SOLO QUI si realizza davvero l’abbraccio tra il Pd di Renzi e quello di Veltroni, che aveva a sua volta scommesso tutto, nel 2008, sul «voto utile». A Walter, che almeno si considerava davvero alternativo a Berlusconi, andò malissimo. A Matteo, che con il re azzurro invece medita di governare, potrebbe andare molto peggio.

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