Hanno arrestato un giornalista
Verità anonime Che piaccia o meno Assange, Manning, Obin, Snowden e altri, hanno compiuto un lavoro di informazione. E il trattamento repressivo è la risposta degli Stati
Verità anonime Che piaccia o meno Assange, Manning, Obin, Snowden e altri, hanno compiuto un lavoro di informazione. E il trattamento repressivo è la risposta degli Stati
Regno unito, dopo quasi sette anni trascorsi nell’ambasciata ecuadoriana di Londra. Accusato di spionaggio dagli Usa per aver rivelato, tramite la piattaforma anonima WikiLeaks, informazioni riservate su crimini di guerra.
Attende la decisione del giudice inglese su quale richiesta di estradizione abbia precedenza, se quella Usa o quella svedese per l’accusa di stupro. Sconta nel frattempo la condanna a 50 mesi di carcere comminatagli dall’Inghilterra per non essersi presentato alla polizia nel 2012.
Assange non è molto amato: la destra e la sinistra militarista americana lo detestano per aver rivelato i crimini di guerra Usa, Forza Italia per aver esposto al pubblico i festini selvaggi dell’allora presidente del consiglio, la Svizzera e Panama per aver pubblicato segreti bancari con il bankgate e i panamaleaks, la sinistra moderata per aver intralciato il cammino delle presidenziali della candidata democratica Hillary Clinton con il DNCleak.
L’Ecuador per aver rivelato la corruzione del presidente, La società civile mondiale per le accuse di stupro dalla Svezia, anche se da lui negate. Trump esaltava WikiLeaks durante la corsa elettorale, visto che gli ultimi leak danneggiavano la concorrenza, ma ora finge di non conoscerla.
[do action=”citazione”]WikiLeaks è un prodotto del cypherpunk, hacker che sostengono la crittografia come strumento per la privacy portatrice di cambiamento sociale, dunque dedicati alla costruzione di sistemi di anonimato, compresi quelli delle crittovalute.[/do]
Assange è un libertariano, libertario di destra, almeno per la concezione economica del mercato liquido di utopia neoliberale. Si è arrogantemente pensato come élite tecnocratica, indifferente alla comunità in cui si è ritenuto superiore in virtù della capacità tecnica. Fa uso dell’arma crittografica come risorsa per combattere il potere smascherandolo, promuovendo decentralizzazione, deregolamentazione e trasparenza radicale e si è esposto in prima persona, pagandone il prezzo.
In una lettera dal carcere di Quito Ola Bini spiega cosa intende per cypherpunk: «Come ogni cosa con la parola punk nel nome, c’è un elemento di anarchismo e ciò significa che fornire una spiegazione autorevole è impossibile. I Cypherpunks non sono un gruppo. È una prospettiva morale che ha iniziato a diventare prevalente negli anni 80, quando la crittografia ha fatto la sua transizione dai governi alla società civile. Le credenze, la struttura morale sono che il codice e l’architettura sono più importanti delle leggi. In relazione a ciò vi è la sfiducia dell’autorità. I cypherpunk scrivono codice. Se vogliamo un mondo migliore, dobbiamo assumercene la responsabilità e dobbiamo costruirlo noi stessi».
Julian Assange non è il solo a subire la repressione giudiziaria. In un quadro internazionale inedito, lo accompagnano altri spifferatori di notizie scomode: Edward Snowden è in asilo in Russia fino al 2020, Chelsea Manning, Daniel Hale e Ola Bini, quest’ultimo solo per essere un programmatore di WikiLeaks, sono in prigione.
Una chiara messa in discussione del sistema di whistleblowing che sembrava coerente con i principi costituzionali americani sulla libertà d’informazione: la denuncia di malefatte da parte di membri di pubbliche o private organizzazioni che rivelano pubblicamente informazioni riservate.
Una pratica di frontiera che prima dello sviluppo dei sistemi crittografici non poteva esistere e oggi coinvolge gli ambiti della teoria legale, dell’economia e dell’etica, ma sottosviluppata in ambito politico. Alla domanda se i whistleblower debbano essere ricompensati o puniti gli Stati Uniti stanno offrendo la loro risposta, che rispecchia la direzione presa dall’11 settembre 2001: ritorno del concetto di guerra giusta, permanenza dell’emergenza e trasparenza radicale per i cittadini, ma non per il governo il quale reclama il diritto ad avere segreti in nome della guerra al terrore.
Come veniva chiamata prima che il Patriot Act del 26 ottobre 2001 la ribattezzasse guerra al terrorismo e legalizzasse uno stato d’emergenza ancora in vigore, con abolizione di principi fondamentali dei diritti dell’uomo; incarcerazione a tempo illimitato di qualunque sospetto di terrorismo senza accuse, le torture di Guantanamo, abolizione dell’habeas corpus e l’estensione dell’autorità americana oltre i confini nazionali.
Hanno arrestato un giornalista che denunciava crimini di guerra.
Assange è forse antipatico, ma non è un sondaggio su la sua simpatia. Sta pagando con la prigione l’aver rivelato informazioni utili alla società civile e se dovesse essere estradato negli Usa rischia la tortura. La sua vicenda oggi va a toccare le questioni dei diritti umani e della libertà di stampa. Vanno difesi assieme ad Ola, Chelsea e Daniel. I diritti se non vengono usati si perdono.
È la satira a offrire un aiuto sulla complessa storia, ricordandoci chi è la vittima e qual è la relazione di potere. La satira è nobile perché ha come bersaglio il potere e le sue declinazioni oppressive che meritano di essere attaccate. Il gruppo comico The Juice Media, composto da australiane come Assange, produce un breve video per internet confezionato come pubblicità progresso istituzionale dove si alternano i rappresentanti di Gran Bretagna, Ecuador e Australia a confermare la loro assoluta sudditanza agli Usa, la cui portavoce li ringrazia per aver aiutato a imprigionare Assange: «Era ricercato per averci fatto sembrare dei criminali di guerra, il che è vero! È colpevole di aver aiutato una fonte anonima a pubblicare documenti di pubblico interesse, altrimenti detto: buon giornalismo!
Noi degli Usa, estradando un giornalista straniero, ci auguriamo di inviare un chiaro monito a tutti i giornalisti di non immischiarci nei nostri affari. Chiediamo a tutti voi di cooperare approvando questo pericoloso precedente, concentratevi sul fatto che l’accusato è antipatico invece che sul nostro tentativo di distruggere la libertà di stampa!»
Il presidente ecuadoriano Moreno, commentando WikiLeaks che ha pubblicato documenti sulla sua corruzione disse che: «Assange ha sparso feci sui muri dell’ambasciata», forse intendeva dire: «ha sputato nel piatto dove ha mangiato», ma viene preso alla lettera e la notizia esce in questi termini, la smentita per vie diplomatiche arriverà una settimana più tardi.
Nessuna smentita invece sui 4.2 miliardi dati dal Fmi all’Ecuador, il padre di Assange dirà in un’intervista a 9news che si è trattato di uno scambio per suo figlio. WikiLeaks era una risposta alla domanda: chi controlla i controllori? È stata un’azione di sabotaggio.
Un sabot digitale infilato nell’ingranaggio di un sistema di potere autoritario. La reazione è stata rabbiosa e violenta perché non si tratta solo di un attacco al giornalismo, ma all’utilizzo degli strumenti crittografici che sono stati veicolo di libertà di parola, la causa della libertà nel 21 secolo è legata alla resistenza alla sorveglianza elettronica. Il libro che Assange aveva in mano durante l’arresto era di Gore Vidal: History of The National Security State.
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