Hannah Arendt, Gerusalemme e un dibattito sempre aperto
SCAFFALE Dal 31 in libreria il volume di Francesco Fistetti per Il nuovo melangolo
SCAFFALE Dal 31 in libreria il volume di Francesco Fistetti per Il nuovo melangolo
Il libro di Francesco Fistetti intitolato Hannah Arendt a Gerusalemme. Ripensare la questione ebraica (Il nuovo melangolo, pp. 114, euro 16) posiziona al centro dell’ampio e sempre vivo dibattito contemporaneo sul pensiero arendtiano il celebre reportage La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, individuato come il testo che impone una «svolta filosofica» decisiva e irreversibile nella postura teoretica della pensatrice tedesca scampata al nazismo che si ripercuoterà su tutta la sua produzione teorica successiva e in particolare, nell’elaborazione dell’opus magnum incompiuto La vita della mente.
LA CRONACA DAL PROCESSO contro il gerarca nazista, catturato a Buenos Aires dal Mossad e trasferito repentinamente su territorio israeliano per subire un processo epocale, il giudizio cioè dei sopravvissuti alla Shoah e dei loro eredi contro un rappresentante-simbolo di un regime criminale, quello nazista, che aveva tentato di cancellare il popolo ebraico dalla faccia della terra, si tramuta, grazie alla scrittura arendtiana animata da straordinaria capacità di penetrazione critica e da una visione filosofico-politica olistica, in uno dei testi fondamentali della filosofia morale e della teoria politica del Novecento.
Quando nel 1963 esce, con il titolo Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, Arendt è già una filosofa affermata e l’esplosione delle violentissime polemiche intorno a quel testo, soprattutto da parte ebraica, cioè dalla sua stessa parte (celebre il duro scambio epistolare con Gershom Scholem che molto la addolorò), motiva in lei una riflessione scabrosa sull’indiscriminato «potere dei fabbricanti d’immagine», cioè sul nesso tra «verità e menzogna» e allo spregiudicato uso manipolatorio che la politica, quella di Ben Gurion per esempio, fa della realtà fattuale.
Il cuore dell’inchiesta sul processo di Gerusalemme è la sua difesa del «carattere ontologico della verità dei fatti», in linea con la duplice scoperta della «banalità del male« che rimpiazza la sua supposta «radicalità» (sostenuta all’epoca de Le origini del totalitarismo) e dell’ampiezza vertiginosa del «collasso morale» provocato dai nazisti nella «rispettabile» società europea, che investe gli aguzzini e purtroppo anche le vittime (attraverso la ferita aperta, documentata nel reportage, delle responsabilità dei Consigli ebraici nella realizzazione della Shoah). La puntuale ricostruzione, non solo documentaria, ma soprattutto concettuale che Fistetti dedica a questa vicenda, tutta tesa a «restituire lo spessore filosofico» al testo apparentemente meno teoretico di Arendt, costituisce un ulteriore tassello dell’approfondita ricerca ultraventennale intorno al pensiero arendtiano con cui egli ha scandagliato lungamente e ripetutamente quel fecondo filosofare e quell’innovativa teoria politica, soprattutto nei nessi con la filosofia di Socrate, di Kant e di Heidegger, nomi che tornano ripetutamente anche in questa nuova impresa storico-filosofica e teoretica.
NON RINUNCIA QUI lo studioso a rilevare la generativa attualità del pensiero arendtiano nell’epoca delle post-verità, ove torniamo a toccare con mano quanto lei sostiene a proposito della verità fattuale, invisa sia ai regimi totalitari sia a quelli democratico-liberali per il suo «carattere dispotico», vale a dire per la sua capacità d’imporsi con «ostinatezza», «resilienza», «irreversibilità», contro tutte le invenzioni, le distorsioni, le manipolazioni ad finem politicum cui viene continuamente asservita. La sua ipotesi, avanzata con rigore nel testo, «che il terreno genetico di La vita della mente è da ravvisare nel laboratorio di riflessione aperto dal caso-Eichmann» restituisce anche alla passione veritativa che anima tutto il pensiero e la riflessione politico-morale di Arendt un surplus di valore teorico.
E se per Arendt «Eichmann incarna il prototipo dell’homo totalitarius», connotato dalla «banalità del male», impregnata di «assenza di pensiero» e dal mutismo assoluto del dialogo socratico del «due-in-uno», bene fa Fistetti a rilevare che è a partire dall’esperienza di Gerusalemme (sua cura posterior) che Arendt giungerà a fare i conti nella sua stessa teoria politica e morale con l’«ebraismo nascosto» della tradizione occidentale.
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OGGI A BARI
Il volume verrà presentato oggi presso il Museo civico di Bari alle 17.30, nell’ambito delle iniziative di «Memoria Futura» de Il Nuovo Fantarca. Con l’autore dialogheranno Cristiano-Maria Bellei (UniUrbino), Natascia Mattucci (UniMacerata) e Francesca R. Recchia Luciani (UniBari).
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