Visioni

Händel, riflessione barocca sul duplice volto della realtà

Händel, riflessione barocca sul duplice volto della realtà

Musica «Giulio Cesare in Egitto» al teatro dell'Opera

Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 ottobre 2023

Il sipario si apre e un uomo vestito di blu – come sarà poi l’abito di Giulio Cesare – cerca di districarsi dai fili rossi che lo tengono prigioniero, come in una tela di ragno. Quando l’azione comincia, entra in scena Giulio Cesare a proclamare l’asservimento dell’Egitto al dominio di Roma. Così, fin dall’inizio, è rappresentata la duplice faccia della realtà, o meglio ciò che essa è e come ci appare: un tema che percorre tutta la riflessione barocca sulla vita, dal teatro (basti pensare a La vita è sogno di Calderón) al romanzo (Don Chisciotte) alla pittura, e gli esempi sono infiniti. Per tutta la durata dello spettacolo da un parte viene rappresentata l’azione che gli uomini credono di compiere per propria scelta, dall’altra il mondo parallelo del Destino, che guida le azioni degli uomini con sanguinosi fili rossi; tre donne nude, le Parche, si aggirano per la scena, porgono la bilancia del fato alla vittima prescelta, la avvolgono nella rete inestricabile, eppure fragilissima, distruttibile della propria tela, che è la tela della storia.
Il Giulio Cesare in Egitto di Georg Friedrich Händel, come ogni melodramma barocco si conclude con un lieto fine: Cesare trionfa sulle insidie che gli hanno teso i suoi avversari e si unisce a Clepatra (ne nascerà un figlio, Cesarione). Damiano Micheletto, nella sua regia, ci fa assistere, mentre la musica decreta il trionfo di Cesare, alla conclusione della storia: l’assassinio di Cesare, nella Curia, proprio sotto la statua di Pompeo, il condottiero che aveva sconfitto. Tutto lo spettacolo si muove nel solco della ambiguità dei destini umani.

IL POTENTE Cesare è un eroe in realtà fragilissimo, lui stesso a un certo punto si crede perduto. Cleopatra ambisce al trono di Egitto e per ottenerlo seduce sotto mentite spoglie Cesare, sconfiggendo il fratello Tolomeo; ma poi si innamora, e anche lei a un certo punto si vede perduta. Cornelia, la vedova di Pompeo, si trova a doversi difendere dalla libidine dei nemici del marito, a cominciare da Tolomeo. Tanta complessità trova una realizzazione meravigliosamente adeguata nell’interpretazione musicale di Rinaldo Alessandrini, che piega l’orchestra del Teatro dell’Opera alla prassi esecutiva barocca, così come la recitazione degli attori è voluta, da Michieletto, non realistica bensì simbolica. Tutti vi si adeguano alla perfezione: dal duttilissimo, intenso Raffaele Pe nella parte di Cesare, al giustamente nevrotico Carlo Vistoli nella parte di Tolomeo; dalla sofferta e sofferente Cornelia di Sara Mingardo alla seducente Cleopatra di Mary Bevan, che affronta con coraggio la sua difficile parte, a tutti gli altri. Suggestive le luci di Alessandro Carletti, efficaci i movimenti coregrafici di Thomas Wilhelm. Un trionfo per tutti.

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