Internazionale

«Israele rischia di scatenare una guerra religiosa mondiale»

«Israele rischia di scatenare una guerra religiosa mondiale»Al centro Yahya Sinwar, leader di Hamas – Michele Giorgio

Tregua Questo l'avvertimento lanciato ieri dal leader di Hamas nella Striscia. Che sulla ricostruzione di Gaza garantisce: «Non toccheremo un centesimo»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 maggio 2021

Yahya Sinwar di rado si concede ai giornalisti. Lo spiega con la «poca dimestichezza» che sostiene di avere con tutto ciò che riguarda il mondo dell’informazione. Non sorprende perciò che l’annuncio di una conferenza stampa convocata capo di Hamas a Gaza all’hotel Commodore abbia attirati ieri parecchi dei giornalisti presenti nella Striscia, locali e giunti da altri paesi. Sinwar non ha tradito le aspettative. Le sue dichiarazioni, le prime in pubblico dopo il cessate il fuoco raggiunto con Israele la scorsa settimana, sono state un misto di avvertimenti minacciosi, di flessibilità su tempi e modi della ricostruzione di Gaza, di disponibilità al compromesso politico e di esaltazione della «vittoria» che il movimento islamico ritiene di aver ottenuto nell’escalation militare con lo Stato ebraico.

All’inizio Sinwar rivolgendosi alle decine di giornalisti presenti è sembrato voler rispondere alle dichiarazioni fatte dal segretario di Stato Antony Blinken che martedì, durante la sua visita a Gerusalemme e Ramallah, aveva condizionato gli aiuti finanziari e umanitari, non solo quelli degli Usa, all’esclusione totale di Hamas dalla ricostruzione di Gaza colpita dai bombardamenti aerei israeliani. «Faciliteremo il compito di tutti. Faremo in modo che il processo sia trasparente ed onesto. Nemmeno un centesimo dei fondi destinati alla ricostruzione o ad imprese umanitarie andrà a Hamas o alle Brigate al-Qassam», l’ala militare del movimento, ha assicurato Sinwar. Con una certa soddisfazione ha aggiunto che Hamas riceve finanziamenti dall’Iran e da altre fonti più che sufficienti per svolgere le sue attività. Quindi si è rivolto direttamente a Joe Biden per esortarlo «a premere su Israele e costringerlo a rispettare le risoluzioni internazionale» e i diritti dei palestinesi.

Ha escluso categoricamente che Hamas possa smobilitare il suo braccio armato e riconoscere un giorno lo Stato di Israele. Allo stesso tempo ha ricordato che nel 2017 la sua organizzazione ha riveduto le proprie posizioni più rigide dietro pressioni internazionali e per favorire l’unità politica dei palestinesi. E ha accettato anche di partecipare alle elezioni legislative dell’Autorità nazionale palestinese del 22 maggio rinviate «con il pretesto del divieto israeliano alla partecipazione di Gerusalemme Est» dal presidente Abu Mazen. «Noi avevamo accettato tutte le condizioni di Abu Mazen ma questi si è tirato indietro. Noi vogliamo che quelle elezioni avvengano prima possibile e siamo pronti ad accettarne il risultato». Sinwar è stato perentorio nel ripetere che Hamas è pronto ad usare ancora razzi e armi per difendere i palestinesi e i luoghi santi islamici. «Se Israele non cesserà a Gerusalemme le attività contro la Città Santa ed i suoi abitanti, potrebbe divampare una guerra religiosa su scala mondiale», ha avvertito ricordando che all’origine dell’ultimo conflitto c’è stato il pugno di ferro della polizia israeliana nei confronti dei fedeli musulmani riuniti nella moschea al-Aqsa e la minacciata espulsione di famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah (Gerusalemme) per far posto a coloni ebrei. «Siamo stati obbligati a lanciare un ultimatum. Israele l’ha ignorato e siamo passati all’azione» ha detto, riferendo poi che nella fase finale dello scontro con Israele, Hamas ha fermato all’ultimo momento il lancio di 300 di razzi, 150 dei quali su Tel Aviv, per non creare ostacoli alle trattative per il cessate il fuoco. Ha smentito infine che Israele abbia distrutto le gallerie sotterranee di Hamas a Gaza. Neanche il 5% della rete è stata distrutta dai raid aerei, ha detto.

I contenuti della conferenza stampa di Sinwar indicano che Hamas insisterà per proporsi agli occhi dei palestinesi come un protettore dei luoghi santi islamici di fronte ad una Autorità nazionale palestinese e al suo presidente Abu Mazen sempre più deboli e non in grado di frenare in alcun modo le politiche di Israele nei Territori occupati malgrado la ripresa delle relazioni tra palestinesi e gli Stati uniti. «Gerusalemme è una linea rossa» e di questo «abbiamo informato gli israeliani e gli americani», ha spiegato da Doha, Ismail Haniyeh il capo dell’ufficio politico del movimento islamico in un’intervista ad Al Jazeera. Secondo Haniyeh, Hamas «ha inferto un duro colpo all’Accordo del secolo», la normalizzazione dei rapporti tra Israele e una parte del mondo arabo.

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