Haiti vota “ma ci vorrebbe un’altra rivoluzione”
Intervista Kettly Alexendre, del Mouvement Paysan de Papaye
Intervista Kettly Alexendre, del Mouvement Paysan de Papaye
Frontiere chiuse, da ieri, ad Haiti per le elezioni – presidenziali e parlamentari – che si svolgono oggi, dopo quattro rinvii. L’anno scorso, i risultati delle urne sono stati annullati, a seguito di accuse di brogli e violenze. Alle presidenziali del 25 ottobre 2015, il candidato governativo, Jovenel Moise, del Partito haitiano Tet Kale (Phtk), ottenne il 32,76% dei voti contro il 25,29% del candidato di opposizione, Jude Celestin, della Lega alternativa per il progresso e l’emancipazione haitiana (Lapeh).
Celestin ha però rifiutato di partecipare al ballottaggio a causa “delle massicce frodi” che si sarebbero verificate al primo turno. A febbraio di quest’anno, il presidente Michel Martelly ha rinunciato all’incarico lasciando il posto vacante, e alla fine si è trovato un accordo per un governo provvisorio, con l’unico compito di realizzare le elezioni. Oggi, si presentano 27 candidati alla presidenza (la volta scorsa erano 54). Se nessuno ottiene il 50% più uno delle preferenze, i primi due aspiranti andranno al ballottaggio, previsto per il 29 gennaio 2017. Si vota anche per eleggere 16 senatori e 25 deputati.
Oltre sei milioni gli aventi diritto su una popolazione di 10,32 milioni, in maggioranza giovane. L’anno scorso, la partecipazione è stata del 26%. Quest’anno, l’incognita è maggiore perché non si sa quante persone siano rimaste senza documenti dopo il passaggio dell’uragano Matthew che, lo scorso 4 ottobre, ha causato almeno 573 morti, 75 scomparsi e 175.000 senza casa nelle zone del sud e sud-ovest. Oltre 600.000 persone si trovano nelle zone colpite, molte delle quali hanno trovato rifugio nelle scuole che avrebbero dovuto servire come seggi elettorali.
Anche i sondaggi sono poco attendibili: danno per favorito Jovenel Moise, seguito da Jude Celestin, poi da Moise Jean Charles, della Piattaforma Petit Dessalines e da Maryse Narcisse, di Familia Lavalas, il partito dell’ex presidente Jean Bertrand Aristide. Sono da giorni nel paese stuoli di osservatori internazionali, dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) e della Comunità dei Caraibi (Caricom). E alla contestatissima forza multinazionale Onu (Minustah) è stato prorogato il mandato per altri sei mesi.
“Queste elezioni sono uno spreco di soldi che non cambierà niente”, ha detto al manifesto l’haitiana Kettly Alexendre, del Mouvement Paysan de Papaye (Mpp). Un movimento affiliato all’organizzazione contadina internazionale Via Campesina, che ha partecipato al III Incontro mondiale dei movimenti popolari con il papa Bergoglio in Vaticano. In quell’occasione, abbiamo incontrato Alexendre, venuta a discutere di Casa, Terra e Lavoro: Tierra, Techo y Trabajo, le 3 T care al papa. Un miraggio per la stragrande maggioranza della popolazione haitiana.
“Passiamo da una crisi all’altra – dice ancora Kettly – ci stavamo appena risollevando dal terremoto e dal colera ed è arrivato l’uragano. Ora più dell’80% delle piantagioni del sud sono andate distrutte, oltre il 70% delle case sono distrutte o inservibili, la gente vive per strada e non ha da mangiare. I contadini non hanno soldi per comprare le sementi, e arriverà nuovamente la Monsanto a proporre gli ogm a basso costo”.
I candidati? “Non ne vedo uno capace di rispondere agli interessi della popolazione più vulnerabile. Quello più popolare, Jovenel Moise, è di destra, come Martelly. Jude Celestin rappresenta l’oligarchia politica che risponde agli interessi della comunità internazionale e delle grandi multinazionali. Moise Jean Charles è di centro-sinistra, sostiene di voler aiutare gli strati popolari, ma non raggiunge la maggioranza della popolazione. In ogni caso, al livello in cui siamo, non bastano alcuni correttivi. Oltre l’80% della popolazione attiva è disoccupata. Oltre il 90% vive con meno di un dollaro al giorno. Le donne sono le più colpite, le più esposte a ogni tipo di violenza. Se anche un contadino riesce a mandare il figlio nella capitale e a iscriverlo all’università, poi non trova lavoro. Molti sono obbligati ad andare nella Repubblica dominicana, e sono oggetto costante di razzismo. Anche lì vogliono costruire muri. E, contemporaneamente, ci passa vicino un’opulenza scandalosa, insultante, ostentata… Auto che costano oltre 80.000 dollari, lauti stipendi per i funzionari delle ong”.
Come cambiare le cose? “Dopo la caduta del dittatore Duvalier, abbiamo ottenuto la libertà di stampa, in genere non si va più in galera per le proprie idee, e questo va bene, ma la sostanza delle cose è rimasta invariata. Possiamo votare, ammesso che riusciamo a raggiungere i seggi, ma per cosa? Questo tipo di democrazia rappresentativa non ci conviene, ci vuole una svolta che dia voce al potere popolare: come a Cuba, in Venezuela, in Bolivia, dove gli ultimi contano e andare a votare ha un senso. A tutti viene garantito un tetto, la terra, il lavoro. Il Venezuela e Cuba ci hanno aiutato molto, senza chiedere niente in cambio. Per il voto, l’Mpp ha lasciato libertà di scelta. Stiamo lavorando per costruire alleanze dal basso che producano un cambiamento vero. Siamo il paese di Toussaint Louverture, non possiamo più sopportare. Per Haiti ci vuole un’altra rivoluzione”.
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