Hai scritto un libro? A Roma non vali un biglietto dell’autobus
Più Libri, più liberi Alla fiera della piccola e media editoria il paradosso del lavoro culturale oggi: il distributore di un libro di Joyce può accreditarsi come professionista, Chi invece lo ha tradotto non può farlo. E scatta la protesta di sindacati, associazioni, scrittori e traduttori.
Più Libri, più liberi Alla fiera della piccola e media editoria il paradosso del lavoro culturale oggi: il distributore di un libro di Joyce può accreditarsi come professionista, Chi invece lo ha tradotto non può farlo. E scatta la protesta di sindacati, associazioni, scrittori e traduttori.
Più Libri Più Liberi, la fiera romana dell’editoria che si svolge a dicembre, ha escluso quest’anno autori e traduttorii dalle categorie di visitatori professionali che hanno diritto all’accredito. All’Eur, dove si svolge la fiera, potranno entrare per lavoro solo coloro che editano o commerciano in libri: editori non espositori, librai, bibliotecari, distributori e promotori, agenti librari. E insegnanti: perchè la scuola può essere sempre un mercato, ricco visti i tempi di magra, dove piazzare un libro.
Non è un bel messaggio per chi sta dietro i libri: traduttori, correttori di bozze. E poi, soprattutto, quelli che i libri li scrivono: gli autori.
Loro non possono entrare, dunque. O meglio potranno farlo, se pagano.
Cosa che succede comunemente, se hai un pomeriggio libero e hai voglia di vedere amici, vedere libri, presentare un libro.
E si può entrare a prezzo ridotto, portando un biglietto dell’Atac.
Ma se hai scritto un libro, o lo hai tradotto, no.
Motivo di questo diniego? Taglio alle spese. Insomma la crisi.
Una decisione che ha sollevato immediatamente la polemica. Il network per traduttori letterari Biblit ha diffuso questa petizione: All’Organizzazione di Più Libri Più Liberi: Gli autori valgono più di un biglietto dell’autobus:
Vi chiediamo – scrivono – di tornare sulla vostra decisione e di inserire a pieno titolo gli autori tra le categorie aventi diritto all’accredito. Una fiera editoriale che non riconosce il ruolo di chi i libri li scrive, li traduce, li illustra rinuncia alla sua ragione di esistere
Fino all’estate 2014 “Più libri più liberi” ha riconosciuto ad autori e traduttori il pieno titolo di operatori professionali, come accade in altre manifestazioni del settore. Stavolta no, e la decisione ha provocato una mezza insurrezione guidata da Cgil (Slc-Cgil), dal sindacato dei traduttori Strade, dall’associazione degli illustratori (autori per immagini) e del coordinamento degli scrittori Slc-Cgil: “A breve distanza dall’apertura della Fiera, la scelta più opportuna ci sembra ripristinare le modalità di accredito vigenti fino a pochi mesi fa” scrivono.
Ora, a molti questa vicenda dirà poco o nulla. Insomma, davanti a disoccupazione, precarietà e il jobs act, la crisi, chi ha scritto un libro e vuole proprio fare un salto alla fiera, ad ascoltare dal vivo Farheinheit di Radio tre, insomma che si paghi il biglietto e entri. E basta privilegi.
E’ vero può finire così. Ma sotto la prima risposta, diciamolo populista e anti-casta, c’è qualcosa di più profondo.
Partiamo dalla motivazione con la quale l’organizzazione di più Libri più liberi ha giustificato la sua decisione. Per un autore, o un traduttore, o un illustratore, è difficile dimostrare di essere un professionista del settore. Insomma: chi lavora con i libri, con le idee, al di là che ci viva o meno, è invisibile. O meglio: non può dimostrare che il suo nome in copertina o sotto il titolo corrisponde ad un’identità lavorativa.
Potrà presentarsi con il curriculum, con i libri che ha fatto, o anche con delle semplici foto da mostrare all’entrata dal suo telefono. Ma non lo farebbero entrare.
Il prodotto che ha realizzato direttamente – o che ha contribuito a realizzare – non basta a dimostrare all’entrata di una fiera che tu sei effettivamente un lavoratore o una lavoratrice.
Considerate le reazioni veementi, allora, il problema non è tanto pagare l’ingresso. Ma è il riconoscimento di una professione, di un lavoro, di una vita passata a pensare e fare libri. Proprio quello che è trasparente, o ha poco peso, sui tavoli di trattativa, nel rapporto con un editore, sul piano dei diritti per chi lavora a intermittenza, con il diritto d’autore, con la partita Iva o precariamente.
Insomma, un piccolo gesto che colpisce la dignità.
In fondo, basterebbe poco: mostrare, ad esempio, il codice ISBN del libro, l’iscrizione a un’organizzazione di categoria o professionale; l’ultima pubblicazione che potrebbe risalire a 5 o 10 anni prima, e non oltre.
I modi sono tanti per dimostrare che chi lavora con i libri vale di più di un biglietto timbrato in giornata.
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