Habermas, la religione resiste al progresso della conoscenza
Classici tedeschi Una storia della filosofia il cui intento è mostrare l’intreccio tra sapere filosofico e teologico: da Feltrinelli il primo volume, «Per una genealogia del pensiero postmetafisico»
Classici tedeschi Una storia della filosofia il cui intento è mostrare l’intreccio tra sapere filosofico e teologico: da Feltrinelli il primo volume, «Per una genealogia del pensiero postmetafisico»
Da molto tempo l’ormai più che novantenne Jürgen Habermas si confronta con un fenomeno storico che lo affascina e lo «provoca»: il ritorno di una forte presenza delle fedi e delle religioni nel dibattito pubblico e nella scena politica mondiale e, di conseguenza, la perdita di credibilità della tesi della secolarizzazione, secondo la quale avremmo dovuto assistere, di pari passo con lo sviluppo del sapere tecnico-scientifico e delle moderne società individualistiche, al tramonto delle religioni e del loro significato per le vite individuali. Le cose, sostiene Habermas, non sono andate propriamente così, e questo rende dunque necessario riavviare un ragionamento sui rapporti tra filosofia e religione, fede e sapere, che ci consenta anche di comprendere meglio la costellazione presente. Il filo conduttore della grande storia della filosofia che Habermas ci propone è proprio questo. I due volumi nei quali è articolata l’edizione tedesca recano infatti i seguenti sottotitoli: 1. «La costellazione occidentale di fede e sapere»; 2. «Libertà razionale – tracce del discorso su fede e sapere», mentre l’edizione italiana sarà divisa in tre. Ne esce ora, grazie all’impegno della Feltrinelli e di un nutrito e qualificato gruppo di studiosi il primo volume, Una storia della filosofia I. Per una genealogia del pensiero postmetafisico (curato da Luca Corchia e Walter Privitera e tradotto, oltre che da loro, da Massimo De Pascale e Giorgio Fazio, pp. 512 € 38,00). Al di là dell’ammirazione per l’impresa straordinaria cui questo filosofo si è dedicato con giovanile energia, proviamo a mettere in evidenza quali sono i motivi che lo hanno spinto a dare forma a quest’opera e quali sono i suoi aspetti più innovativi.
Le domande che Habermas si pone ci danno persino qualcosa di più che una storia della filosofia esauriente, poiché la sua indagine risale alle rappresentazioni magiche e mitiche del mondo rispetto alle quali il ragionamento filosofico prenderà lentamente il sopravvento. Ciò che va cercando è molto chiaro: vuole mostrare come lo sviluppo del sapere filosofico e quello del pensiero religioso e teologico siano strettamente intrecciati, e legati da un rapporto di intersezione e di apprendimento reciproco.
Questa verità Habermas la illumina riflettendo soprattutto su due snodi storici fondamentali. In primo luogo quello che, riprendendo Jaspers, egli chiama l’età assiale. La nascita della filosofia in Grecia nel VI secolo avanti Cristo non è un miracolo né un unicum, ma va compresa come un aspetto di quella grande rivoluzione intellettuale (un vero e proprio ruotare l’asse della comprensione del mondo) che altrove dà luogo alla nascita delle grandi religioni mondiali come l’ebraismo, il confucianesimo e il buddismo. Habermas cerca di mostrarci come la filosofia e le grandi religioni mondiali non siano esperienze spirituali del tutto eterogenee, mettendo anzi in risalto tutti gli elementi che le accomunano.
L’altro snodo decisivo sul quale il filosofo tedesco si sofferma a lungo è l’incontro tra religione cristiana e pensiero greco (platonico e aristotelico) di cui sono protagonisti anzitutto Agostino e Tommaso. «La mia generazione – scrive Habermas in chiave autocritica – era ancora abituata a saltare come inessenziali i processi di apprendimento intercorsi nei mille anni in cui il discorso filosofico era quasi esclusivamente condotto sotto l’egida della Chiesa Cattolica Romana e della sua teologia, come se l’autorevole filosofia greca avesse trovato un serio proseguimento scientifico soltanto nel primo umanesimo moderno». Invece, «facendomi guidare dal discorso su fede e sapere, cerco di mostrare come lungo questo percorso si sia verificata un’osmosi semantica tra la dottrina cristiana e la filosofia greca, da cui sono scaturiti da un lato la teologia e dall’altro i concetti fondamentali del pensiero filosofico moderno». E infatti è proprio con il francescano Guglielmo di Occam, con il suo nominalismo che sottrae ai concetti la loro consistenza ontologica, che la metafisica si avvia al suo tramonto e si apre la strada verso il moderno pensiero post-metafisico. Esso però, questo è un punto sul quale Habermas insiste molto e che è decisivo per comprendere le sue stesse posizioni, si biforca in due direzioni radicalmente diverse che prefigurano la distinzione (oggi un po’ superata e da Habermas non amata) tra analitici e continentali. I capofila ne sono Hume e Kant. La divaricazione tra le due linee sta nel fatto che mentre l’una, quella humeana, dissolve e decostruisce i contenuti della tradizione religiosa e metafisica, l’altra non li ripudia completamente ma, come fanno Kant, Hegel e lo stesso Marx, tenta di tradurre in argomenti razionali il contenuto di verità o di utopia che, in forme simboliche, è racchiuso nelle rappresentazioni religiose.
Il compiuto approdo a un pensiero postmetafisico, però, richiede per Habermas il superamento di quell’orizzonte della filosofia del soggetto dentro il quale Hume e Kant ancora permangono; richiede cioè che la ragione postmetafisica venga declinata come ragione dialogica e comunicativa, ricca di contenuto etico e politico: al terzo volume dell’opera lo sviluppo di questo tema.
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