Nei primi anni Novanta, all’indomani della laurea ottenuta con una tesi su Storia e politica nella memorialistica letteraria polacca del secondo dopoguerra, un neolaureato italiano venne ricevuto da Gustaw Herling nel suo studio napoletano, certo di trovare udienza grazie alla sua indagine sui motivi che avevano spinto molti scrittori ad abbracciare la causa dell’internazionalismo comunista. Letta la tesi, Herling – allora il maggior memorialista polacco vivente – mostrò fastidio: di quei fatti, che non meritavano peraltro alcuna considerazione, si era parlato – disse – fin troppo. Quel che lo studente ignorava era che l’avere scelto La mente prigioniera di Czesław...