Gülsün Karamustafa, l’ordito della speranza
Intervista A Loreto Aprutino (Pe) ha appena installato un site-specific incantato «The Long Thin Thread / Filo lungo e sottile» congegnato sui frantumi di tre antiche macchine da cucire Singer
Intervista A Loreto Aprutino (Pe) ha appena installato un site-specific incantato «The Long Thin Thread / Filo lungo e sottile» congegnato sui frantumi di tre antiche macchine da cucire Singer
Per lei che ha vissuto l’arte in una Turchia repressiva, la politica è uno schieramento che le è costato perfino sei mesi di carcere nel 1971 nella prigione di Izmit, come filigranato nell’opera The Stage (1998). Lei è la straordinaria Gülsün Karamustafa (Ankara, 1946), l’artista e filmmaker che ha sperimentato e scosso l’arte contemporanea in Turchia. Proveniente da una famiglia di attivisti politici e giornalisti, Gülsün è una icona, che reimpagina la contraddittoria storia turca, cadenzata da conquiste civili, massacri delle minoranze, diaspore, inflazioni economiche e dal dedalo di azeri, armeni, curdi, ebrei, russi.
Nella sua ricerca annoda la storia collettiva a quella privata, attraverso un processo che (quasi come una archeologa) scava dentro le pieghe del tempo per riportare alla luce i resti che reificano l’intangibilità della memoria. Ne restituisce una narrativa decostruita dai cliché di gender, religione, classe, diaspora, città, svago, politica ed economia libidinale. Formalmente, installazione, fotografia, video, audio, pittura, collage e disegno intervengono come strumenti desideranti in un ordito affascinante.
A Loreto Aprutino (Pe) ha appena installato un site-specific incantato The Long Thin Thread / Filo lungo e sottile congegnato sui frantumi di tre antiche macchine da cucire Singer, ibridate tra loro, che vogliono dar vita a nuove interazioni. L’opera permanente è prodotta dalla Fondazione No Man’s Land, in occasione di Cantiere Aperto, prima rassegna di arte contemporanea, musica e poesia realizzata da Zerynthia Associazione per l’arte contemporanea in collaborazione con Aware-Bellezza Resistente, dedicata alla diffusione delle idee di Yona Friedman, centrate sulla tematica migratoria.
Tutto il suo mondo è permeato dalla storia: dalla serie Prison Paintings (1972-1978), dipinta dopo essere uscita di prigione, entrata nella collezione della Tate Modern fino al billboard Irreversible Remnants (2022) l’opera pubblica collocata tra la Friedrichstraße e Torstraße a Berlino. Una vastità di antologiche, Biennali e premi internazionali (come il prestigioso Prince Claus Award nel 2014) ne suggellano la densità di vita e di carriera.
L’installazione «The Long Thin Thread / Filo Lungo e Sottile» è anche la metafora su cui è basata tutta la sua ricerca: il filo che lega e connette le civiltà in continuo spostamento…
Nel corso del tempo mi sono proposta di raccontare una storia lunga, che non ha fine, che si ripete all’infinito nei meandri eterni dei movimenti politici del mondo. Questa storia si sviluppa e matura attorno a sé come un’ellisse e gli eventi si legano tra loro attraverso le metafore che racchiudono le mie opere.
Che valenza ha la macchina da cucire che è il perno dell’installazione «The Long Thin Thread »?
Quando mi è stato proposto di realizzare il progetto permanente all’aria aperta, ai confini e alle persone che hanno lasciato i loro territori per una vita migliore, ai flussi migratori legati a tanti motivi diversi, tra cui le guerre. Così, ho deciso che tre vecchie macchine da cucire, installate a caso sul fertile terreno della Fondazione No Man’s Land trasferissero l’idea in modo semplice e discreto. Le macchine da cucire mi hanno sempre attratta in quanto sono i simboli della produttività personalizzata, la cui relazione con il lavoro femminile è inevitabile. Dalla loro invenzione nel 1830 hanno rappresentato un aiuto affidabile in casa e hanno continuato a esserlo fino ad ora. In tempi di grandi migrazioni e diaspore sono stati i primi oggetti a essere abbandonati, a seconda della loro pesantezza. Credo che in tutte le storie di migrazione ci sia un «filo lungo e sottile» immaginario che collega le persone alle loro possibili nuove vite. In molti paesi, le donne cercano di costruirsi una vita diversa lavorando come sarte e riparando vestiti anche nell’industria tessile, che ha sempre bisogno di manodopera femminile. «Il cucito ripara l’anima» così come le esistenze spezzate delle persone che cercano nuove opportunità nelle loro nuove vite.
L’uso della macchina da cucire rimanda al poster del 1977, «First of May (Woman Constantly Sewing Red Flags with Her Sewing Machine»). Quali differenze socio-politiche racchiudono le due opere, realizzate a distanza?
Non è la prima volta che utilizzo la macchina da cucire nei miei lavori. Al di là delle metafore, la macchina da cucire è stato il mio grande supporto per realizzare i grandi arazzi della metà degli anni ’80 con il materiale che raccoglievo nelle case dei migranti. Ho cucito insieme i tappeti, i pezzi di vestiti e altro materiale, rappresentando la nuova cultura ibrida che si stava generando quando la cultura rurale e quella urbana si sono scontrate. In realtà l’immagine più significativa della macchina da cucire entra nel mio lavoro all’interno del manifesto che ho creato per la festa del 1 maggio 1977 tenuta in piazza Taksim, che rivendicava la fine dei conflitti e l’appello all’unità e che finì con il massacro di 36 morti uccisi dalla polizia. Quello è stato un periodo instabile tra i colpi di stato militari avvenuti in Turchia nel 1971 e nel 1980.
In che modo questo lavoro è connesso a opere chiave come l’installazione «Mystic Transport»?
Nel 1992, quando sono stata invitata alla 3a Biennale di Istanbul, ho cercato di trovare la mia ispirazione nelle strade della città, che si era trasformata in una megalopoli da 15 milioni di abitanti in pochissimo tempo attraverso la migrazione dalla campagna all’urbano. È stato sorprendente vedere come questa svolta sociologica abbia cambiato tutto intorno a me in così poco tempo. Il risultato di questa mostra è stato Mystic Transport, venti ceste di metallo su ruote, facili da spostare, che trasportano trapunte Atlas multicolori. Quel tipo di trapunte copriva e riscaldava le persone da secoli e le proteggeva in tempi di grandi movimenti di migrazioni o altri eventi inquietanti e orribili come guerre, diaspore e persino con disastri naturali come terremoti ecc. Probabilmente una trapunta leggera, è facile da trasportare e allo stesso tempo protegge dal freddo. Era un rimedio per le persone che dovevano abbandonare tutti i loro averi nel loro viaggio senza fine. I visitatori potevano spingere e spostare i cestini da un luogo all’altro, riproducendo il destino dei migranti nella vita reale.
Il suo lavoro mescola memoria, civiltà e soggettività all’interno del cambiamento storico: quanto la modernità ha influenzato la Turchia contemporanea nell’arte e nella società?
Se hai una vita lunga come la mia, a partire dagli anni ’50, hai molto da ricordare. Sono nata ad Ankara dove ho trascorso molto del mio tempo. Era la nuova capitale della giovane Repubblica Turca e anche una città di recente creazione nel mezzo dell’Anatolia. L’obiettivo del nuovo governo era quello di tagliare la storia e i legami con il caduto Impero ottomano per dare origine a uno stato modernista, imprimendo un nuovo inizio. Ankara, una città piccola e sterile, progettata per essere una capitale anche con il contributo di architetti e artisti tedeschi e austriaci, si adattava bene alle prospettive della giovane Repubblica. Ho vissuto per anni tra Istanbul e Ankara poiché mio padre lavorava nella nuova capitale come impiegato statale in una emittente radiofonica ad Ankara. Per quelle città che avevano background, stili di vita e leggende diverse, la fine totale del modernismo è entrata in scena con gli ultimi decenni del XX secolo con rapidi cambiamenti demografici, con gli esiti delle migrazioni dalle aree rurali e anche, recentemente, con l’impatto della migrazione di guerra. Milioni di persone stanno cercando di sopravvivere e questo sta travolgendo le capacità delle città. Sfortunatamente non sono rimaste molte tracce da ricordare della prima infanzia.
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