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Guerrieri, tombe e templi del ragazzo pop

Guerrieri, tombe e templi del ragazzo popMario Schifano, Tomba del Barone, 1991, tecnica mista su cartoncino, Pescara, Fondazione Pescarabruzzo

Una mostra a vent'anni dalla morte dell'artista Schifano restauratore e lucidatore di disegni, non ancora diciassettenne, al museo etrusco di Roma: e gli Etruschi gli rimasero «sotto la pelle» tutta la vita. Una mostra a Valle Giulia lo documenta

Pubblicato più di 5 anni fa

La notte del 16 maggio 1985, in Piazza della SS. Annunziata a Firenze, Mario Schifano diede vita a una performance indimenticabile: sotto gli occhi di un pubblico estremamente partecipe, con Achille Bonito Oliva che commentava in presa diretta, realizzò a una velocità frenetica (usando a un certo punto due pennelli, uno per ogni mano) un’opera di ben quaranta metri quadri ispirata alla Chimera, la celebre scultura in bronzo di epoca etrusca.
Chi non conosceva la storia dell’artista pensò forse che la scelta del soggetto da parte del carismatico esponente della pop art italiana fosse di circostanza: era quello infatti l’anno del Progetto Etruschi, e in quel momento erano visitabili in città due grandi mostre: una al Museo Archeologico e un’altra allo Spedale degli Innocenti, quest’ultima proprio su La fortuna degli Etruschi. Ma non era così. Schifano di arte etrusca si era nutrito fin da ragazzino. Non ancora diciassettenne, per interessamento del padre, che in Libia era stato stretto collaboratore del soprintendente archeologo Renato Bartoccini, poi diventato direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, era stato assunto in quel museo come restauratore e lucidatore di disegni. Vi rimase per più di dieci anni, fino al 1962, e benché la routine di un lavoro tutt’altro che creativo lo annoiasse molto, gli Etruschi finirono per entrargli sotto pelle: «Guerrieri, tombe, templi di quel popolo – dirà in seguito – hanno fatto parte della mia storia privata». Nelle sale della villa di papa Giulio III, a continuo contatto con le splendide testimonianze della cultura figurativa etrusca, maturò la sua vocazione di pittore, tanto da affermare: «la mia scelta è nata qui».
Nel ventennale della morte il ‘suo’ museo ha quindi pensato di rendergli omaggio con la mostra EtruSchifano. Mario Schifano a Villa Giulia: un ritorno, che rimarrà aperta fino al 10 marzo. Il progetto nasce da una sinergia tra Gianluca Tagliamonte, etruscologo dell’Università del Salento che ha il merito di avere ‘riscoperto’ in anni recenti il rapporto tra Schifano e le antichità etrusco-italiche, e Maria Paola Guidobaldi, apprezzata archeologa attualmente responsabile dell’ufficio mostre del Museo di Villa Giulia. A loro si deve anche la cura del catalogo – pubblicato da Ianieri per la Fondazione Pescarabbruzzo – doviziosamente illustrato e arricchito da sostanziosi saggi di diversi autori, fra cui Valentino Nizzo, che del museo è direttore e anima.
Al piano nobile, nella sala dei Sette Colli, è esposto quasi integralmente il ciclo Gli Etruschi, realizzato da Schifano nel 1991 e oggi di proprietà della Fondazione Pescarabruzzo di Pescara. Sono opere che ripropongono in chiave pop – curioso come il postmoderno torni spesso e volentieri al classico – alcune delle più famose pitture funerarie tarquiniesi, ma ci sono anche richiami a vasi e altri oggetti della civiltà etrusca.
Nella sala di Venere sono esposti invece tre dipinti e due disegni facenti parte del ciclo della Mater Matuta, ispirato alle statue in tufo di questa divinità italica conservate nel museo di Capua (ma due sono anche a Villa Giulia). Le opere furono commissionate a Schifano nel 1995 dal filantropo Domenico Tulino, e oggi appartengono alla fondazione da questi creata per supportare l’attività della sorella, una religiosa impegnata nell’assistenza alle madri bisognose eritree e ai loro bambini.
Schifano visitò la missione di Suor Pina ad Asmara e fu molto toccato da ciò che vide. Il lavoro che ne nacque è l’unico nel quale l’artista – in fama di ‘maledetto’ per il suo rapporto con la droga – si è accostato al sacro, e lo ha fatto attraverso un’esaltazione della figura femminile in quanto generatrice e protettrice della vita, inserendovi riferimenti che vanno dalla preistorica Venere di Willendorf alla madre di Guernica di Picasso, dalla Madonna con bambino alla suora missionaria circondata da bimbi africani.
Il lavoro di Schifano si intersecò – fu un’astuzia del committente – con quello di Stanislao Nievo. Lo scrittore, che si era già interessato alle antiche Madri mediterranee nel suo romanzo Aurora, dopo aver conosciuto il ciclo di Schifano dialogò idealmente con esso in un nuovo libro, dal titolo Mater Matuta. Il pittore purtroppo morì prima di poterlo leggere.
Nella mostra sono anche esposti alcuni documenti provenienti dal fascicolo personale di Mario Schifano conservato nell’archivio del museo. Le note di qualifica stilate dai superiori, inizialmente molto positive, cominciano a evidenziare col tempo qualche problema. Nel giudizio per l’anno 1958 si legge per esempio che Schifano è «talvolta insofferente alla disciplina del lavoro per le sua aspirazioni di pittore in contrasto col compito incaricato di assolvere».
I primi successi conosciuti come artista lo decisero in effetti a dare le dimissioni da un lavoro che non lo gratificava, ma come ebbe a precisare in un’intervista concessa nel 1986 proprio nel museo di Villa Giulia, davanti all’iconico Apollo di Veio, «non è che sono fuggito… in realtà non ci stavo mai perché il mio cervello era sempre fuori».

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