Visioni

«Guerra e pace», indagare il presente oltre la finzione

«Guerra e pace», indagare il presente oltre la finzioneStefano Fresi

A teatro Il capolavoro di Tolstoj diretto da Andrea Baracco per lo stabile dell'Umbria, testo adattato per la scena da Letizia Russo. Nel cast Stefano Fresi e Ilaria Genatiempo

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 5 giugno 2021

Guerra e pace, uno spettacolo che è un’impresa titanica, proprio come era stato a fine ottocento il romanzo di Lev Tolstoj da cui nasce la teatralizzazione che per lo stabile dell’Umbria ha realizzato Andrea Baracco, divisa in due parti durante la settimana per trasformarsi in «maratona» il sabato e la domenica, come è avvenuto per tutto il mese di maggio. Il testo dello scrittore russo è stato riscritto per la scena, e scandito (almeno nella prima e seconda parte, forse si compirà anche il finale) da Letizia Russo, una tra le nostre autrici più importanti, che per lo stesso teatro e la medesima regia aveva già lavorato un paio d’anni fa su Il maestro e Margherita di Bulgakov.

IL CAPOLAVORO di Tolstoi è già di per sé una sorta di mappatura alluvionale di sentimenti e speranze, progetti, delusioni e sconfitte, e ricadute individuali, che riflettono e personificano gli effetti contraddittori della campagna napoleonica verso la Russia, dalla vittoria di Austerlitz alla sconfitta di Borodino dopo l’illusoria conquista di Mosca. Il romanzo appare anzi come una vera e propria proiezione antropologica di quegli eventi sconvolgenti, con le ascese e le ricadute, i matrimoni e le separazioni, gli amori e i tradimenti, e soprattutto le illusioni e la loro disfatta. In quelle belle famiglione russe che attraversano quel mare in tempesta, caratteri, carismi e debolezze si rincorrono e si incrociano a ritmo serrato, e quasi impossibile da governare. Quella composita umanità è specchio e spettro del mondo, che Tolstoi personifica in personaggi storicamente esistiti, conosciuti, immaginati. Con effetto mirabolante sul lettore, di ieri come di oggi, che fa considerare quel capolavoro letterario una sorta di summa e di vertice della letteratura di tutti i tempi.

Emiliano Masala

SUL PALCOSCENICO ovviamente il discorso è diverso, per motivi strutturali e distributivi: anche con una compagnia numerosa, affiatata e agguerrita come quella che il Teatro dell’Umbria ha raccolto per la regia di Baracco, deve forzatamente affidare ad ogni attore più ruoli, e magari di personaggi in conflitto, o successivi nella narrazione, con l’ulteriore difficoltà, per lo spettatore italiano, di individuare l’identità di ognuno dietro la cortina fumogena dei nomi russi.
Per fortuna, come spesso avviene nel percorso degli spettacoli del regista, si crea un afflato unitario tra gli interpreti (che dal palcoscenico si muovono ad occupare l’intero spazio della platea) e gli spettatori affacciati dai palchetti dei vari ordini, che permette al racconto di farsi unitario e sostenuto da un ritmo narrativo unificante, nonostante la maggior parte degli attori assolva e copra più di un ruolo. Del resto tanti sono i personaggi di Tolstoj, che nessun foglio paga (ma anche lo spazio fisico dell’interpretazione) potrebbe sostenerne il peso individuale. Lo spettatore non riesce sempre a distinguere lo spostamento narrativo da una famiglia all’altra, con attori e attrici che cambiano solo di cognome al proprio personaggio. Ma in fondo questo effetto moltiplica anche una sorta di stratificazione culturale profonda che rende diversità e ricchezza all’universo tolstoiano.

COSÌ, SOLO per fare un esempio, un’attrice corretta ed esperta come Ilaria Genatiempo assolve al ruolo di «madre» con tale sicurezza e carica umana (e tecnica attoriale) da conquistare in ogni caso autorevolezza e profondità alle diverse facce di quel ruolo. Più difficile sostenere anche un singolo ruolo eccedendo in tecniche e vezzi che contrastano forse non tanto con le molte diversità disegnate da Tolstoj, quanto con il gusto e la sensibilità di oggi. È il caso della Natasha, protagonista quasi assoluta della seconda parte, che forse Lucia Lavia carica di eccessiva «espressività». Ma questi sono «appunti» secondari, lo spettacolo di Guerra e pace vive dell’insieme di una narrazione sofferta quanto coinvolgente, che comporta anche per lo spettatore il superamento della propria «pigrizia». Gli effetti visivi o acustici sono «materiali di scena» necessari per entrare in quel dedalo di rivoli emotivi e insieme storici, che offrono spunti di lettura per duecento e più anni fa, e utili a sottolineare le differenze con l’oggi. Ambizioni passioni e delusioni acquisiscono una storicizzazione così pressante, da far scomparire la distanza con tutte le Russie.

IN QUESTO il testo di Letizia Russo, cui Andrea Baracco dà corpo, è una utile bussola di orientamento aperto. I costumi e le scene sono di Marta Crisolini Malatesta, le musiche originali di Massimo Vezzani. Tutti impegnati nello sforzo narrativo gli attori, da Stefano Fresi a Dario Cantarelli, a Caroline Baglioni a Carolina Balucani, a tutti gli altri che portano lo spettatore a indagare il presente oltre la finzione del passato. Come i grandi romanzi sempre insegnano.

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