Europa

Guerra dei visti, Ankara avverte: «Salta l’accordo»

Guerra dei visti, Ankara  avverte: «Salta l’accordo»

Europa Erdogan preme per la liberalizzazione. Juncker: «Non servono minacce al vento». Ma sblocca altri fondi

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 20 aprile 2016
C. L.ROMA

E’ il terzo avvertimento nell’arco di pochi giorni, il secondo nel giro di poche ore. A cominciare è stato venerdì scorso il ministro turco per gli Affari europei Volkan Bazkir, seguito a ruota ieri prima dal presidente Recep Tayyip Erdogan e poi dal primo ministro Ahmet Davutoglu. Tutti hanno lanciato lo stesso, sintetico messaggio all’Europa: se non verrà mantenuto l’impegno preso sulla liberalizzazione di visti per i cittadini turchi, l’accordo siglato sui migranti può considerarsi finito. E per essere sicuro che a Bruxelles le orecchie che dovevano capire avessero capito, Erdogan ha ripetuto un concetto espresso anche prima del 18 marzo scorso, giorno della firma del patto tra l’Ue e la Turchia: «L’Unione europea ha bisogno della Turchia più di quanto la Turchia abbia bisogno dell’Unione europea», ha detto il sultano.
Dopo settimane di finto idillio, la tensione con Ankara torna quindi ad alzarsi. Chiara la minaccia lanciata da Erdogan, che non si fa scrupolo di usare migranti e rifugiati come arma di ricatto nei confronti dell’Europa. Minacce pronunciate in televisione proprio mentre Davutoglu stava salendo sull’aereo diretto a Strasburgo, dove ieri è intervenuto all’assemblea del Consiglio d’Europa.
Sono almeno due i fatti che hanno irritato Erdogan e i suoi ministri: una risoluzione votata a grande maggioranza la settimana scorsa dal parlamento europeo in cui si chiede di tenere separati l’accordo sui migranti dal processo di adesione della Turchia all’Unione europea. Ma anche le parole del presidente della commissione Ue Jean Claude Juncker che ha avvertito Ankara di come sulla questione dei visti non verranno fatti sconti: «La Turchia deve rimanere tutte le condizioni rimanenti in modo che la Commissione possa adottare l’accordo nei prossimi mesi». Ankara avrebbe risposto a poco più della metà dei 79 requisiti richiesti per sbloccare il processo entro maggio, anche se afferma che gliene mancano solo 17. «Non occorre lanciare minacce al vento», ha detto Juncker.
Il presidente della Commissione Ue finge di alzare la voce, ma sa bene che un passo indietro della Turchia rischierebbe di non far uscire più l’Europa dal baratro fatto di muri, eserciti schierati ai confini e capitali che decidono di testa propria in cui ancora si trova. E infatti Bruxelles sta bene attenta a far seguire ai (finti) toni duri gesti di apertura nei confronti della Turchia. Come i 110 milioni d euro – parte dei 3 miliardi promessi – sbloccati ieri per aiuti umanitari. «L’accordo funziona», ha detto Juncker facendo finta ignorare le critiche di numerose organizzazioni internazionali per il mancato rispetto dei diritti umani dei profughi. Come quella fatta ieri da Human rights watch, che parla di «deportazioni» e denuncia come ai primi rifugiati rispediti in Turchia il 4 aprile sia stato vietato di essere visitati dalle organizzazioni umanitarie e di avere contatti con familiari e amici rimasti in Grecia.
Intanto dopo il migration compact presentato dall’Italia e che punta a ripetere l’accordo con la Turchia anche con i paesi africani dai quali partono o transitano i migranti, ieri a Bruxelles è arrivata anche la proposta ungherese per arginare i flussi dei migranti. «Non basta cambiare le politiche migratorie dell’Ue, i confini europei devono essere protetti e le migrazioni devono essere fermate», ha detto il portavoce del governo di Viktor Orban proponendo un aumento di risorse, mezzi e uomini – ma soprattutto poteri – a polizia, esercito e servizi segreti. Così va l’Europa.
Tutto ancora fermo, invece, per quanto riguarda la Libia. Il parlamento di Tobruk ha rinviato alla prossima settimana il voto sul governo di unità nazionale di al Serraj, voto atteso anche a Bruxelles perché potrebbe preludere a una nuova fase della missione europea, che prevede l’intervento diretto nelle acque libiche per fermare i barconi carichi di migranti. Ieri l’incaricato d’affari dell’ambasciata libica presso a Santa Sede, Alì Mustafà Rugibani, chiedendo il sostegno al governo di unità nazionale ha parlato di «mezzo milione» di migranti pronti a partire dalla Libia diretti in Italia. c.l.

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