Guercino e alti confronti nella stagione di mezzo
A Roma, Scuderie del Quirinale, "Guercino. L’era Ludovisi a Roma", a cura di Raffaella Morselli e Caterina Volpi L’emozionante mostra intorno al breve regno di Gregorio XV, 1621-1623. La star è il pittore di Cento, nella fase migliore. Tonante la dialettica di espressioni, perno il supremo modello tizianesco
A Roma, Scuderie del Quirinale, "Guercino. L’era Ludovisi a Roma", a cura di Raffaella Morselli e Caterina Volpi L’emozionante mostra intorno al breve regno di Gregorio XV, 1621-1623. La star è il pittore di Cento, nella fase migliore. Tonante la dialettica di espressioni, perno il supremo modello tizianesco
Il corrusco, visionario Mosè che gira per Roma sulle fiancate dei bus è davvero ‘tonante’ – come l’Aurora Ludovisi, secondo la celebre chiusa dell’Officina ferrarese di Roberto Longhi – ed è il migliore invito possibile a recarsi alle Scuderie del Quirinale per ammirare la bellissima mostra Guercino L’era Ludovisi a Roma, a cura di Raffaella Morselli e Caterina Volpi (fino al 26 gennaio 2025; catalogo Artem). Con una divertente e involontaria inversione temporale, quindi, dopo la celebrazione nel 2023 dell’età barberiniana, in concomitanza con il centenario dell’inizio di quel lungo pontificato (1623-’44), ora si passa a quella ludovisiana, più una stagione che un’era, a dir la verità, appena due anni (1621-’23). Una stagione segnata prima di tutto dal soggiorno romano di Guercino, un genio assoluto che proprio in quel giro di anni – diciamo dal 1617 al 1627 circa – viveva innegabilmente il momento migliore della sua lunga e prolifica carriera.
La formula mista di questa mostra, tanto una monografica su una fase creativa di un singolo maestro quanto una ricognizione sul collezionismo e il mecenatismo di un cardinal nipote, Ludovico Ludovisi, poteva presentare numerose problematiche. Innanzi tutto, un aspetto poteva prevalere sull’altro; poi ci si poteva far vincere dalla tentazione di accompagnare Guercino un po’ più avanti nel suo percorso (morì nel 1666!), nelle tante sale di quel secondo piano delle Scuderie che spesso si rivelano deludenti, per l’inevitabile calo della tensione dopo i grandi ambienti al pianterreno in cui si sparano le cartucce migliori. Non si è caduti in nessuna di queste trappole, e nella mostra Guercino-Ludovisi gli acuti sono molti, e si finisce col botto al termine sia del primo sia del secondo piano.
Se la Roma di inizio secolo, quella dei pontificati Aldobrandini e Borghese, è il palcoscenico di un irripetibile confronto tra Annibale Carracci, Caravaggio e Rubens (e altri ancora), e quella poi dei Barberini tiene a battesimo l’esplosione del Barocco con la triade Cortona-Bernini-Borromini, cosa rimane a caratterizzare la breve stagione Ludovisi, oltre al passaggio della meteora Guercino? Certamente la nascita del cosiddetto movimento neoveneto, la cui esistenza venne teorizzata da Longhi nell’ormai lontano 1916, persino prima che fosse avviata da Denis Mahon la riscoperta moderna di Guercino: il passaggio nella collezione Ludovisi, avvenuto nel 1621, dei due Baccanali di Tiziano (Gli Andrii e l’Offerta a Venere) già a Ferrara e poi dal 1598 nelle mani di Pietro Aldobrandini a Roma, segnò una svolta importantissima nella storia della pittura dell’Urbe. Da lì, da quella scoperta del colore e del naturalismo di Tiziano, si originò poi il Barocco di Cortona e Sacchi: questa la tesi, sviluppata da Briganti a partire dall’intuizione di Longhi, che a parere di molti (me compreso) continua a reggere.
E così il mancato prestito dal Prado di almeno uno di quei due capolavori è davvero doloroso; colpevole è il museo spagnolo, soprattutto se si pensa che Gli Andrii furono concessi a Ferrara nel 2016 per la mostra su Ariosto: qui le ragioni scientifiche per averli erano assai più solide e circostanziate. A compensarne in parte l’assenza sono repliche di quei capolavori, tra cui una molto bella di Padovanino (da Bergamo), accostate a tele venete di primo Cinquecento, di Bassano o Paris Bordon, per rievocare la collezione Ludovisi (con pezzi, però, che non appartennero davvero a quella raccolta, e la scelta del dipinto di Bassano lascia perplessi). La tesi, argomentata da Volpi, è che il palazzo-villa dei Ludovisi – ne rimane il celebre Casino decorato appunto da Guercino con l’Aurora (quello che era stato valutato 471 milioni di euro ed è rimasto invenduto a 144: Roma, arrogante, si sopravvaluta sempre) – divenisse una sorta di accademia, una scuola del mondo, come già il Salone di Palazzo Vecchio a Firenze coi cartoni di Leonardo e Michelangelo. E in questo senso sono fondamentali le tele di Van Dyck, che proprio al pari di Guercino attraversò come una meteora la scena artistica romana al tempo dei Ludovisi, e studiò a fondo quei Baccanali.
Non c’erano da esporre repliche o copie antiche del maggiore capolavoro dipinto da Guercino a Roma, il Seppellimento di santa Petronilla, una macchina d’altare di sette metri d’altezza che ovviamente non si può spostare, e che d’altronde è lì vicino, ai Capitolini, non a Los Angeles. Ma io credo che ci si poteva risparmiare il fac-simile che accoglie i visitatori nella prima sala: in una mostra che è tutto un susseguirsi di capolavori, possibile mettere in quell’ambiente con una storia prestigiosa alle spalle (ci ricordiamo tutti i Bellini e i Tintoretto clamorosi che lo hanno occupato) una riproduzione dell’ormai onnipresente Factum Arte? È la mostra di Guercino, è vero, ma lo è anche dei Ludovisi e della loro collezione: il grandioso Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre eccezionalmente prestato dalla principessa Pallavicini, un tour de force a sei mani – Domenichino le figure, Viola il paesaggio, Elia Maurizio gli animali – che nessuno o quasi aveva mai visto, e che fu del cardinale Ludovico, avrebbe potuto meritare quell’onore. Meno discutibile, forse, l’evocazione in mostra delle pitture del Casino dell’Aurora, che dialogano con i molti bellissimi disegni preparatori.
È impressionante il numero di tele del Guercino più sensuale e avvolgente che sono state ottenute da musei di mezzo mondo, a partire da quelle prestate dal Prado e dall’Escorial, appartenute sempre a Ludovico, passando per il già citato Mosè, un dipinto appena riscoperto dagli studi (e oggi a Waddesdon, Rotschild Foundation), per finire con la tumultuosa Cattura di Cristo (Cambridge) che fa subito pensare al Caravaggio di Dublino. In questa sede, peraltro, del possibile dialogo a distanza Guercino-Caravaggio non si è voluto trattare, e forse è stato giusto così; ma allora a illuminare le radici del linguaggio naturalista, ‘di macchia’, di Guercino, oltre ai due dipinti di Ludovico Carracci sarebbe stato necessario almeno un Carlo Bononi.
Sempre in un bell’equilibrio tra una monografica e lo spaccato di un’epoca, la mostra propone un susseguirsi di confronti Guercino-Reni, Reni-Domenichino, Cortona-Poussin, forzando i limiti cronologici del pontificato Ludovisi, ma rimanendo aggrappata ai temi della committenza del cardinale e dell’influenza esercitata dai Baccanali. Il vertice è il confronto fra la Trinità di Reni ordinata da Ludovico per il giubileo del 1625 (con quello del 2025 alle porte), una delle più belle pale d’altare di Roma, e la contemporanea Crocifissione di Guercino proveniente dalla Ghiara di Reggio Emilia: iconograficamente e dimensionalmente le due opere si fronteggiano in un braccio di forza di stili che giustifica appieno il prestito accordato dalla basilica della cittadina emiliana, al di là di ogni possibile polemica.
La sala dedicata alla pittura di paesaggio è forte di uno dei capolavori di Domenichino, una nobilissima tela del Louvre proveniente ancora dalla raccolta Ludovisi, che sempre è a confronto con il miracoloso naturalismo di Guercino, a partire dalle Donne al bagno di Rotterdam, ma anche con i meno consueti paesaggi ‘puri’ dipinti da Pietro da Cortona per i Sacchetti. E così la mostra espone anche una casistica per generi (pale d’altare, quadri sacri da galleria, paesaggi), chiudendo con la ritrattistica; e chiudendo appunto con i fuochi d’artificio. Vedere insieme, in due sale consecutive costruite a cannocchiale, il Gregorio XV e Ludovico Ludovisi di Domenichino (Béziers) affiancato dal Gregorio XV di Guercino (Getty) e dal Ludovico Ludovisi di Ottavio Leoni (Budapest), introdotti dal Roberto Ubaldini di Reni (LACMA di Los Angeles) e dal Guido Bentivoglio di Van Dyck (Pitti)… insieme ancora ad altri capolavori della ritrattistica dell’epoca… è come avere un manuale di storia dell’arte dispiegato di fronte agli occhi, con opere tutte sensazionali e tutte dipinte nello stesso giro di anni.
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