Groenlandia, la rovina di una intera generazione
NARRATIVA Il romanzo «La valle dei fiori» di Niviaq Korneliussen, per Iperborea
NARRATIVA Il romanzo «La valle dei fiori» di Niviaq Korneliussen, per Iperborea
Contrariamente a quanto accade per altri luoghi al tempo stesso remoti e tuttavia inseriti nelle rotte turistiche, per gran parte degli italiani l’esperienza della Groenlandia passa quasi esclusivamente per la narrativa. Mentre esplora l’immaginario boreale attraverso una gamma di riferimenti culturali, Peter Davidson la descrive nel suo L’idea di Nord, come una idea «potente», che esibisce l’alterità di un settentrione archetipico, esotico.
LA LUNGA DIPENDENZA politica della Groenlandia dalla Danimarca – in forme che oggi volgono rapide verso una difficile autonomia – ha reso più facile la mediazione della sua cultura, benché anche il danese sia una lingua periferica, stabilendo al tempo stesso un vantaggio e un limite. Qualche frammento di conoscenza ci è arrivato dal lavoro etnografico di giganti come Knud Rasmussen, o dalle narrazioni di autori che hanno vissuto su questa grande isola, fra i quali Jørn Riel che ce ne ha tramandato storie paradossali, o Kim Leine che l’ha descritta nel suo Fiordo dell’eternità; mentre dal celebre romanzo di Peter Hoeg, Il senso di Smilla per la neve ricaviamo perlopiù immagini inventate: nemmeno un angolo della Groenlandia tra quelli che compaiono nel romanzo esiste davvero.
Kirsten Thisted, studiosa delle geografie culturali dei paesi artici, invita a distinguere tra opere danesi sulla Groenlandia e libri composti dai nativi nella lingua madre e poi tradotti, dei quali abbiamo in Italia scarsi esemplari: arriva ora, a integrare la bibliografia, l’apprezzabile romanzo di Niviaq Korneliussen, La valle dei fiori (traduzione e postfazione di Francesca Turri, Iperborea, pp. 298, euro 18,50). Poco più che trentenne e bilingue, come sono in genere i groenlandesi, Korneliussen ha ottenuto nel 2021 il premio del Consiglio Nordico per quest’opera che affronta il problema del suicidio, soprattutto tra i giovani, che costituisce un triste primato per Groenlandia nelle statistiche internazionali.
AMBIENTATO tra la capitale Nuuk, dove la protagonista sembra trovare qualche forma di equilibrio grazie all’amore per una compagna, la città danese di Aarhus, dove cerca con scarso successo di affrontare gli studi universitari, e Tasiilaq, piccolo centro della costa orientale, il romanzo è al tempo stesso un veicolo di denuncia sociale, che evidenzia l’assenza di aiuto per i ragazzi più in difficoltà, e una narrazione gradevolmente intima, condotta in prima persona con una ammirevole lievità, fino al tragico finale.
Korneliussen non ignora il radicamento storico del suicidio in Groenlandia – in uso un tempo tra gli anziani ormai inutili alla comunità – né sottovaluta l’attualità inaccettabile del problema, e trasforma questi temi socialmente necessari in un romanzo che sprigiona una forza e una delicatezza senza precedenti.
La valle dei fiori del titolo è il nome del piccolo cimitero di Tasiilaq, dove la protagonista riflette sulla rovina di un’intera generazione privata delle sue legittime aspirazioni. La descrizione delle tombe, mentre assolve la sua valenza simbolica, si sovrappone quasi alla lettera alla rappresentazione narrativa che di quello stesso luogo ci ha consegnato Simona Vinci, tra le pagine del suo Nel bianco: un cimitero privo di lapidi, con grandi croci bianche e numeri, e fiori di plastica colorati, senza nomi e senza date, perché sul suicidio si tace e «ciascuno sa quali sono i suoi morti e dove sono seppelliti».
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