Greenpass e vaccini, non sacrifichiamo l’uguaglianza
Qualcuno ricorda forse la cittadella circondata dal filo spinato del film messicano “La Zona”, in cui la divisione sempre più netta e profonda che avvertiamo oggi nella società italiana trovava […]
Qualcuno ricorda forse la cittadella circondata dal filo spinato del film messicano “La Zona”, in cui la divisione sempre più netta e profonda che avvertiamo oggi nella società italiana trovava […]
Qualcuno ricorda forse la cittadella circondata dal filo spinato del film messicano “La Zona”, in cui la divisione sempre più netta e profonda che avvertiamo oggi nella società italiana trovava un’angosciosa materializzazione. La miseria e il crimine restavano fuori dalla cittadella fortificata dei civili, ricchi ed istruiti, così come oggi ci si illude di poter lasciare al di fuori di quel filo spinato la minaccia della pandemia, del virus e della paura che dilaga. È paura dell’impossibilità di un ritorno alla normalità, paura della malattia, ma è anche «paura della cura», così come l’ha definita con parole di umanità il presidente del Cts Locatelli. Come comunità avremmo dovuto prenderci cura di quella paura, cura dello scetticismo, confusione e timore che si sono diffusi in relazione al vaccino. Ci saremmo dovuti far carico di includere, informare e accompagnare tutti verso la scelta scientificamente più supportata dai dati, mentre ci siamo lasciati andare ad escludere, a stigmatizzare ed infine discriminare, con la mossa tipica della nostra politica populista: creare un nemico da sconfiggere, per riaggregare un consenso cieco intorno allo stigma. Il nemico è colui che, magari per motivi di salute, magari paura, magari scetticismo, sceglie di non vaccinarsi.
Ebbene, non sarà popolare dirlo, ma la Costituzione non prefigura questo tipo di società, ma esattamente all’opposto immagina un pluralismo, una frammentazione, delle minoranze, che vengano ascoltate e accompagnate, veicolando il conflitto nei processi democratici, per ricondurre poi ad unità la comunità politica. Così come, sempre la Costituzione, pone alla base della convivenza i diritti fondamentali di libertà, ma coniugati con l’uguaglianza.
Venendo nello specifico alla disciplina del greenpass del decreto legge 105/2021, della cui modifica si discute, si è detto da più parti che essa troverebbe il proprio fondamento nell’articolo 16 della Costituzione, in base al quale la libertà di circolazione è passibile di limitazione in ragione dell’esigenza di garantire sanità e sicurezza, così come nell’articolo 32, che pone la tutela della salute collettiva con forza, accanto a quella individuale. Fa piacere che almeno in queste circostanze si diffonda la conoscenza delle norme costituzionali, ma la Costituzione va letta bene, come ben ricordava da queste pagine Gaetano Azzariti, e va letta tutta. Quindi ci sono i doveri e i diritti sì, tra cui anche la libertà di autodeterminarsi, e c’è soprattutto l’uguaglianza di cui all’articolo 3. L’uguaglianza formale dei cittadini dinanzi alla legge non tollera discriminazioni, se non a fronte di situazioni diverse che siano trattate in modo ragionevolmente diverso. Al principio di ragionevolezza si deve ispirare quindi ogni trattamento differenziato tra cittadini, per non scadere nell’illegittimità costituzionale della mera discriminazione. E ragionevolezza vuol dire, secondo figure consolidate nella giurisprudenza costituzionale, non illogicità, non arbitrarietà, proporzionalità rispetto allo scopo. Qui viene in rilievo la scienza: solo l’evidenza di un beneficio oggettivo per la salute collettiva può giustificare la discriminazione indotta dall’obbligo del greenpass per svolgere attività della vita quotidiana. Una sicurezza su questo ad oggi non esiste, fosse solo per il fatto che tra i possessori ci sono anche non vaccinati “tamponati”, non vaccinati guariti, o vaccinati con una sola dose, le cui possibilità di contagiare sono elevate, ma che il pass, avvertito ormai come passaporto per una magica immunità, incoraggia a dismettere le cautele.
Oltre alla questione dell’uguaglianza formale c’è poi quella dell’uguaglianza sostanziale. Abbiamo letto di licenziamenti, decisi o minacciati, sospensioni dello stipendio, misure di cui in questo momento non si sentiva la necessità, e più in generale della stigmatizzazione pubblica di intere categorie di persone. Arriva adesso la decisione di richiedere il greenpass ancor più largamente per l’accesso al trasporto pubblico, con un onere economico non indifferente per chi debba farsi carico del costo dei tamponi per svolgere le attività della vita quotidiana. Alla luce di quanto argomentato pare poi irragionevole quanto deciso ieri dal Consiglio dei ministri, prevedendo questo onere per gli studenti universitari, penalizzando i «capaci e meritevoli anche se privi di mezzi» non vaccinati, il cui diritto allo studio verrà così ad essere compresso. Si è previsto poi di estendere il pass alle categorie di insegnanti e personale ata, sebbene non operanti a contatto con persone fragili, ma con le più “resistenti”, in ragione dell’età rispetto al virus, e in un ambito in cui la percentuale dei vaccinati è dell’85%, sommando a questo onere una sanzione grave per chi non presenta il pass. Una misura che non potrà che inasprire il senso di iniquità e discriminazione avvertito da chi si sottrae al vaccino, sebbene continui a non essere previsto l’obbligo vaccinale.
Diventa allora più urgente porre la domanda sul perché il governo imponga il pass e non direttamente il vaccino, strumento più efficace e salvifico in base ai dati scientifici oggi disponibili. Questa domanda andrebbe posta a gran voce dal parlamento al governo, dai cittadini ai propri parlamentari, dai costituzionalisti alle proprie carte; su questo sarebbe necessario un dibattito parlamentare. Nessuna scorciatoia e nessuna scappatoia europea pare disponibile: un regolamento Ue disciplina il greenpass, infatti, al limitato fine di agevolare la circolazione delle persone ed il riconoscimento delle rispettive vaccinazioni nazionali, ma è solo il legislatore che ha il potere di intervenire a tutela della salute collettiva dei cittadini italiani. Se esso sceglie di intervenire, dovrebbe farlo con razionalità e sulla base delle evidenze scientifiche disponibili: solo così sarebbe possibile limitare in modo circoscritto e ragionevole i diritti costituzionali evitando – laddove non sia strettamente necessario – di minare l’uguaglianza, creando divisioni e conflitti. Nel frattempo si continui a vaccinare (a scanso di equivoci chi scrive l’ha fatto già da mesi), ad implementare la pluralità di diverse misure atte a prevenire il contagio, non tutte adeguatamente rispettate, e ad informare meglio di come si è finora fatto.
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