In tempo di guerra a scuola le «piccole italiane» imparavano canzoncine patriottiche senza capirne il senso. A casa invece leggevano i bellissimi libri della «Scala d’oro» Utet, con straordinarie illustrazioni, tradotti dal tedesco. Nella Saga dei Nibelunghi enigmatici destini fiorivano su quelle pagine infantili. Odino condanna la figlia amata, la ribelle Brunilde, a giacere inerme entro un cerchio di fuoco. L’eroe Sigfrido giunge a salvarla, ma un filtro perverso gli ottenebra la mente. Non la riconosce. Tra loro mette la sua spada nuda. L’amore-odio è annodato per sempre in una stretta tenace quanto la vita.
Nel romanzo di Graham Greene Fine di una storia (The End of the Affair, Heinemann 1951, adesso pubblicato da Sellerio «La memoria», a cura di Domenico Scarpa, con una nota di Scott Spencer e la traduzione di Alessandro Carrera, pp. 368, euro 16,00) la trascendenza cala sul corpo di Bendrix, colpito a morte, durante un terribile bombardamento tedesco a Londra. Sarah, l’amante rimasta a letto, nuda e tremante, lo salva con il suo voto perentorio di castità, da brava bambina cattolica quale era. Rinunciando a lui salva anche se stessa dalla natura ferina della passione erotica, dall’animalesco grido che segnala il culmine dell’orgasmo: «“quel suo strano e triste e rabbioso grido di abbandono” capace di squartare la memoria, e non solo quella di Bendrix» – scrive Scarpa nella finissima Postfazione. Ma quell’evento miracoloso ha spezzato la coppia umana. L’eroismo, alterato da una trasformazione alchemica, è tornato ai suoi elementi primari, al fondo arcaico. Odio in Bendrix, abbandonato silenziosamente da lei al suo tempo oscuro, vile e incerto. Devozione assoluta, sacrificale in Sarah, fuori dalla brutale gelosia dell’amante. «Lei di dubbi non ne aveva. Solo l’attimo importava – e a volte mi pareva che il suo abbandono toccasse quello strano punto matematico dell’infinitudine, un punto che non ha dimensioni e non occupa alcun spazio. Quando risposi che anch’io l’amavo nello stesso modo ero io il bugiardo».
Maurice Bendrix, un discreto romanziere, come gli concede l’autore, ne imita però certi scatti tipici. Racconta in prima persona la «grande storia di sesso» fino a quando, dopo la morte di Sarah, legge nel diario di lei: «Il dolore che Maurice prova va a finire nella sua scrittura; nelle frasi che scrive si sentono le contrazioni dei suoi nervi». Greene si difende dal suo invadente doppio. «Il tono era stato Bendrix a fissarlo fin dalla prima pagina. Questa è una testimonianza di odio più ancora che di amore, e io avevo il terrore di vedermi l’intero libro affumicato da quell’odio come fosse un pesce». Mette in atto la sua strategia: un buon uso del grottesco e del paradossale. Gli ironici dialoghi tra il cinico Bendrix e il suo agente investigativo, l’umile Parkis e figlio. L’ateo guarito e convertito. La trasformazione della bellissima Sarah, moglie adultera del buon Henry, che da una passione carnale per Maurice, ascende a una passione spirituale. Si è volontariamente ammalata di polmonite, evita di curarsi, muore all’improvviso. Dopo la sua scomparsa, dal cielo scende una pioggia straordinaria di miracoli sui suoi conoscenti in terra.
Intanto l’ostinato Bendrix si è sistemato in casa dell’afflitto vedovo, e insieme vanno a bere la birra serale al Pontefrac Arms. La grazia della fede è sospesa sul suo capo, ma lui la respinge con un rimprovero finale: «O Dio, hai fatto abbastanza, mi hai derubato abbastanza, sono troppo vecchio e stanco per imparare ad amare, lasciami solo una volta per sempre» (p. 342). Gli fa eco in versi spazientiti Gilberto Sacerdoti: «Chi son io per giudicare, / io creatura, lui creatore? / Si diletta di vacare? / Vachi e s’abbia in più il mio amore. // Vuol l’assurdo? Son d’accordo, / SON D’ACCORDO, SON D’ACCORDO! / (Certo, spiace che sia sordo… / Sarà in grado di apprezzarlo?)» («L’assurdo? D’accordo», in Vendo vento, Einaudi 2001).