Visioni

«Green Border», una cesura nel cuore nero dell’Europa

Un momento da «Green Border»Un momento da «Green Border»

Al cinema Il film di Agnieszka Holland, Premio della Giuria a Venezia. Duramente attaccata dal governo polacco, la regista critica le politiche migratorie

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 8 febbraio 2024

Quando si sorvola con l’aereo la Polonia e gli stati limitrofi quella terra di boschi e colture ordinate fa venire in mente che è stata territorio di guerra e sangue sparso ovunque per secoli, ma anche un territorio senza confini a vederlo dall’alto. E non si potrebbe neanche immaginare la sofferenza di tanti migranti che in quei boschi cercano disperatamente di raggiungere finalmente l’Europa.
Durissimo e coinvolgente il film presentato in concorso al festival di Venezia ed ora in sala, è uno dei più decisivi attacchi politici contro l’uso dei respingimenti, non a caso ha suscitato attacchi ufficiali da parte del ministro dell’interno Mariusz Kaminski, «brutale attacco» alle guardie di frontiera polacche, come offesa alla divisa secondo uno slogan che ritorna d’attualità. Rincarando la dose, anche se con un coté cinefilo, il ministro della giustizia lo ha paragonato ai film antipolacchi realizzati dai nazisti: «Sotto il III Reich i tedeschi producevano film di propaganda che mostravano i polacchi come banditi e assassini, oggi hanno Agnieszka Holland per questo». La regista ha risposto con una querela, il film non è stato proposto nella lista dei candidati agli Oscar.

INSOMMA ha proprio colto nel segno, anche se il suo intento va ben oltre i comportamenti dei militari, raggiunge tutto il cuore nero dell’Europa. Il bianco e nero del film in questo senso è assai allusivo. Agnieszka Holland, ai suoi esordi collaboratrice di Wajda, rappresentante di una generazione critica, grande narratrice riconosciuta a livello internazionale, con lei si tratta di entrare nella dimensione del grande cinema polacco, dove niente è espresso in maniera didascalica, ogni suggestione è suggerita e il risultato esplode interiormente. La tensione messa in scena è crescente, come il clima di paura, restiamo accanto a una famiglia siriana che ha perso negozio e casa e sta cercando di raggiungere la Svezia, in un volo dove vediamo tanti altri volti mediorientali e africani tutti con scalo in Bielorussia da dove spostarsi in maniera organizzata (un pulmino li attende all’aeroporto). Ma non è affatto come previsto, la via verso la Polonia della famiglia composta da genitori, un nonno, tre bambini e una donna afghana che si è aggiunta al piccolo gruppo, diventa una trappola, una corsa tra boschi, luogo di incomprensibili violenze, lanciati come sacchi attraverso i muri di filo spinato da una parte e dall’altra, derubati di soldi e cellulari, lasciati al freddo e senza capire dove andare, incrociando altri migranti senza più forze, provenienti da paesi dove hanno già subito violenze.

È IMPRESSIONANTE nel film la mescolanza di lingue che rende impossibile la comunicazione, ma lo sarebbe comunque, specchio di un razzismo ormai consolidato, basta guardare il colore della pelle. Le guardie frontaliere polacche non sono che una piccola parte della grande ondata di destra che sta tornando ad antiche barbarie, compreso il completo oblio del sentimento di umanità verso il prossimo a dispetto di un cattolicesimo tanto sbandierato. Ma i richiedenti asilo non sono il prossimo, sono «armi di Lukashenko lanciate contro di noi» così vengono istruite le guardie dai superiori, mettendo in atto una logica di guerra perenne, oltre che di orrendi soprusi ritenuti accettabili.
Vengono in aiuto dei migranti gli appartenenti a un’associazione di volontari a perlustrare il confine portando abiti, coperte e viveri, pur senza osare entrare nella «zona di emergenza» e qui si inizia ad allargare il campo a diversi strati della società: compaiono i giovani volontari e rispettosi delle regole per non essere poi bloccati nell’azione, che arrivano a far arrivare un medico con un apparecchio per l’ecografia urgente che nel buio della notte risplende come una speranza per il futuro, anche se tante sono nel film le vite spezzate.

Ci sono altri giovani volontari che rifiutano le regole, sostenendo che l’Europa conosce la situazione da dieci anni e nessuno ha fatto niente. La classe media è rappresentata da una psicanalista che si lancia nell’impresa di salvataggio mettendo a disposizione casa e macchina anche se in modo convulso e disordinato, finendo perfino in prigione per essersi spostata troppo oltre, per violazione dello stato di emergenza e in assenza di qualunque stato di diritto.

E SI MOSTRA la classe più benestante che si ritrae o quella che risponde con l’accoglienza. Anche tra le fila delle guardie si fa strada un barlume di coscienza: il soldatino che sta mettendo su casa in attesa del primo figlio, solerte e obbediente, in lui si fa strada un po’ alla volta l’assurdità dei comandi, le atrocità a cui assiste. L’alcool della grappa distillata in casa è il primo rifugio, poi riuscirà a capire meglio la situazione e cambiare il suo atteggiamento.
Il vero cambiamento avviene quando arriveranno in massa nel 2022 due milioni di profughi ucraini, accolti con gentilezza e tutte le premure, té caldo e autobus accoglienti a portarli a destinazione insieme ai loro cani e uccellini in gabbia «che patiscono il freddo».

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