Così se n’è andato anche Ettore Mo, singolare e umile caposcuola dei veri inviati sul campo. Certo aveva 91 anni, ma il fatto che sia morto proprio in questi giorni di disordine bellico del mondo, è come un segnale della non raccontabilità della guerra. Storica firma del “Corriere della Sera”, amava sbirciare anche il lavoro altrui, come quello de “il manifesto”, per il quale scrisse due articoli.

Il primo sul rapimento della nostra Giuliana Sgrena a Baghdad dove non esitava a criticare il debutto del giornalismo embedded dentro l’operazione Desert Storm, denunciando «il nuovo imbavagliamento della stampa», che rendeva ormai impossibile ogni racconto indipendente.

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Il secondo, «La lezione di Kapuscinski» per la morte nel 2007 del grande inviato. «Ai giovani aspiranti giornalisti – scriveva – che mi chiedevano a che modello ispirarsi o cosa avrebbero dovuto leggere per prepararsi all’eventuale “carriera” di un inviato nelle zone calde del mondo, rispondevo di dare un’occhiata a “Omaggio alla Catalogna”, il capolavoro di George Orwell sulla guerra civile spagnola (…) Adesso risponderei senza esitazione di portarsi a casa i libri di Ryszard Kapuscinski», e continuava: «Anche nei suoi spostamenti sceglieva spesso il mezzo più faticoso: l’aereo era certo più comodo e veloce di un treno, ma il treno, arrancando ad esempio sulla Cordigliera andina o zigzagando nelle piane ghiacciate della Siberia, gli avrebbe consentito di avere un contatto diretto con le popolazioni di quelle remote periferie del mondo e raccontarne dal vivo la sofferenza».

A volte ci chiamava, stimava i reportage di Stefano Chiarini, lo sentivo sulla crisi dei Balcani. A metterci in contatto con lui il fotografo Danilo De Marco che in tanti conflitti lo ha accompagnato e l’inviato de “La Stampa” Valerio Pellizzari, entrambi legati al manifesto. A loro due in particolare e alla famiglia l’abbraccio del collettivo redazionale de il manifesto.