Grasso, una sorta di debutto
Legge elettorale Il presidente del senato durissimo per spiegare il suo addio al Pd: "Il Rosatellum non lo abbiamo potuto neanche discutere, è stata una sorta di violenza che ho voluto esternare". Parole che assieme a quelle di Napolitano contro la fiducia adesso pesano sul Quirinale, dove Mattarella sta per promulgare la legge
Legge elettorale Il presidente del senato durissimo per spiegare il suo addio al Pd: "Il Rosatellum non lo abbiamo potuto neanche discutere, è stata una sorta di violenza che ho voluto esternare". Parole che assieme a quelle di Napolitano contro la fiducia adesso pesano sul Quirinale, dove Mattarella sta per promulgare la legge
Più duro non poteva essere. «Ho vissuto una sorta di violenza e l’ho voluta rappresentare», spiega la scelta di lasciare il Pd Pietro Grasso, mentre a pochi passi da lui – a palazzo Giustiniani – c’e Gentiloni che la fiducia l’ha messa. I due non si incontrano, il presidente del Consiglio aveva in agenda un appuntamento con il senatore Piano, Grasso invece parla a margine di un convegno sulla corruzione. «Scelta sofferta – dice – ma non condivido più né il merito né il metodo del partito in cui ero entrato».
Ci era entrato poco meno di cinque anni fa, era procuratore nazionale antimafia, in coincidenza con la decisione di accettare la candidatura al senato offertagli da Bersani e, subito dopo, la scelta di lasciare prima del tempo la magistratura. Lascia adesso, «dopo l’approvazione della legge elettorale per rispetto al mio ruolo istituzionale», ma proprio in relazione a quella approvazione. Gli è costato veder fallire il suo tentativo di moral suasion per convincere il governo a non chiedere la fiducia. In risposta l’esecutivo, su richiesta del Pd, di fiducie al senato ne ha chieste e ottenute cinque. E così malgrado la ministra per i rapporti con il parlamento Finocchiaro dica che «il governo si è sempre comportato correttamente», Grasso pensa il contrario. «Il fatto che il presidente del senato abbia visto passare una legge elettorale redatta in un’altra camera senza poter discutere, senza poter cambiare nemmeno una virgola, è stata una sorta di violenza che ho voluto rappresentare». Anticipando la decisione al capo dello stato, che probabilmente non l’ha presa bene visto che adesso tocca a lui promulgare la legge elettorale approvata con otto fiducie (tre alla camera). Mentre i grillini gli chiedono già di «non ripetere l’errore fatto con l’Italicum», promulgato e poi dichiarato in parte incostituzionale della Consulta.
Mattarella, sul cui tavolo arriverà presto il Rosatellum, ha spiegato proprio giovedì che il presidente della Repubblica può rifiutarsi di firmare una legge approvata dal parlamento solo in presenza di evidenti ragioni di incostituzionalità. E proprio ieri ha dimostrato cosa intende, rimandando al parlamento la legge contro le mine antiuomo motivando nel dettaglio i «profili di evidente illegittimità»; così come erano stati puntigliosi i suoi rilievi sul codice antimafia, pur promulgato, un paio di settimane fa. La questione della legittimità della fiducia sulle leggi elettorali è invece più articolata – la Corte costituzionale non si è mai espressa, ha ricordato nell’aula del senato l’ex presidente Napolitano. Eppure non è indifferente che la nuova legge elettorale arrivi alla firma presidenziale gravata dalle critiche di un capo dello stato emerito – «drastica compressione dei diritti e del ruolo dell’istituzione» – e della seconda carica dello stato – «una sorta di violenza».
Intanto l’uscita di Grasso dal Pd è un colpo che si diffonde in due direzioni. La più scontata è quella a sinistra del partito, dove Grasso è già stato invocato – e direttamente sondato – come possibile leader di Mdp e Sinistra italiana. Da quella parte si sta però ben attenti a rispettare la prudenza che il presidente richiede. Grandi attestati di stima, ma nessun arruolamento anzi tempo. «Ci fermiano al rispetto, non lo trasciniamo in altro», dice Speranza, e persino D’Alema non va oltre l’espressione del «piacere per la consonanza di giudizio».
Ma il peso delle accuse di Grasso grava soprattutto nel Pd. Renzi vede subito i rischi di un crollo a catena e dà mandato di bloccare le intemperanze sui social di qualcuno tra i suoi. Anche perché tra pochi giorni è atteso un cattivo o pessimo risultato in Sicilia. Il segretario tenta ancora di sottrarsi alla responsabilità della fiducia: «Io la penso come il presidente Gentiloni e i capigruppo Zanda e Rosato». Ovvero, la fiducia sulla legge elettorale l’hanno condivisa anche le anime del partito adesso in movimento (Zanda è della corrente di Franceschini).
Non è quello che ha raccontato in senato Napolitano, quando ha descritto il presidente del Consiglio vittima di «fortissime pressioni». Un pezzo del partito, a cominciare dai ministri Orlando e Franceschini che ne hanno parlato a margine della riunione del governo, non ci sta a minimizzare l’addio del presidente del senato. E ne approfitta per insistere sulla linea del partito inclusivo e aperto alle alleanze. La stessa linea di Veltroni: «Il Pd è stato ideato e costruito per persone come Grasso, speriamo di ritrovarci uniti». Eventualmente anche con Renzi.
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