Grasso: con i canguri io non c’entro
Il caso L’emendamento Esposito, precedente identico, fu ammesso dalla vicepresidente Fedeli
Il caso L’emendamento Esposito, precedente identico, fu ammesso dalla vicepresidente Fedeli
Si tratta di emendamenti «tollerati», vale a dire ammessi ma a malincuore. E non da lui, da «altri presidenti». Così Pietro Grasso ha motivato ieri mattina in conferenza dei capigruppo la sua decisione di non ammettere al voto, nel corso dell’esame della legge sulle unioni civili, gli emendamenti «premissivi», primo fra tutto il 01.6000 Marcucci ribattezzato «super canguro». Avrebbe fatto cadere d’un colpo tutti gli emendamenti delle opposizioni. La decisione è stata fortemente contestata dal Pd, il capogruppo Zanda ha alzato la voce con il presidente. Un po’ perché così diventa evidente la vera ragione per la quale Renzi ha deciso di procedere con la fiducia, come vedremo tra poco. Un molto perché la decisione del presidente costituisce un precedente: d’ora in avanti il governo dovrà rinunciare a questo strumento per condurre in porto i suoi disegni di legge. Almeno al senato.
L’emendamento premissivo è in pratica una sintesi, un riassunto della legge che il partito di maggioranza intende blindare. Votandolo, e approvandolo, all’inizio dell’esame del provvedimento, si precludono tutti gli emendamenti contrari, quelli delle opposizioni. A rigore di regolamento questo genere di emendamento non potrebbe essere ammesso, perché non introduce novità – non «emenda» appunto – il testo della legge. Però emendamenti del genere sono stati ammessi in passato. Negli ultimi due anni questa tecnica è andata a sommarsi ai vari canguri, tagliole e sedute fiume, tutti strappi compiuti in omaggio ai desideri del governo. Grasso dunque ha dovuto motivare questo cambio di direzione, e per farlo ha riunito informalmente i capigruppo, rendendosi conto di arrivare tardi rispetto al dibattito – dell’emendamento Marcucci si è già discusso in aula e, dopo l’annunciato no del M5S, è già chiaro che non avrebbe i voti.
Il precedente che il Pd aveva in mente quando, con l’assistenza dei tecnici di palazzo Chigi, è stato proposto il nuovo «super canguro», era quello dell’emendamento Esposito, con il quale a gennaio 2015 fu abbattuto in un colpo solo il muro delle migliaia di emendamenti sollevato dalla Lega contro la nuova legge elettorale. L’emendamento Esposito – ora l’articolo 1 dell’Italicum – era identico al Marcucci, persino nella scansione. Negli emendamenti premissivi la legge da blindare viene riassunta per punti, che nell’Esposito erano nove (fino alla lettera “i”) come nel Marcucci. Quell’emendamento fu ammesso, spiega ora Grasso, perché era una «forma di reazione contrapposta e proporzionata da parte della maggioranza rispetto a manifestazioni di ostruzionismo esasperato». Allora il sì all’Esposito comportò l’abbattimento di 35mila emendamenti dell’opposizione su 48mila totali. Gli altri furono semplicemente «cangurati».
Oggi non è così, spiega Grasso. Perché gli emendamenti superstiti alla legge sulle unioni civili sono non più di 500, un numero perfettamente gestibile senza il trucco del «super canguro». E, si potrebbe aggiungere, senza fiducia, che dunque si spiega con ragioni politiche – tenere compatta la maggioranza di governo, non andare allo scontro con i cattolici – e non tecniche. Ecco perché il Pd si arrabbia e dice che Grasso «avrebbe dovuto dirlo prima». Il presidente risponde spiegando che gli è stato impossibile, visto che soltanto giovedì sera ha ricevuto il fascicolo con le proposte di modifica confermate dalla Lega, visto che i leghisti avevano deciso di rinunciare alla massa degli emendamenti ostruzionistici.
Ma soprattutto Pietro Grasso ha detto che «altri presidenti» hanno ammesso i «super canguri», non lui. Che in effetti aveva detto no a un tentativo simile per la riforma costituzionale (ammettendone però un altro diverso solo nella forma, l’emendamento Cociancich). E allora l’emendamento Esposito, del 21 gennaio 2015? Quello che Grasso non dice, ma invita a controllare, è che in quei giorni lui era lontano dall’aula del senato, impegnato nel ruolo di presidente della Repubblica supplente. A decidere sull’emendamento Esposito, ammettendolo, fu la presidente vicaria, Valeria Fedeli.
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