Governo, si apre la caccia al tesoro
Spending review Vertice a Palazzo Chigi sui tagli ai ministeri. Obiettivo: trovare almeno 20 miliardi
Spending review Vertice a Palazzo Chigi sui tagli ai ministeri. Obiettivo: trovare almeno 20 miliardi
Gran consiglio a palazzo Chigi. Ordine del giorno, i tagli ai ministeri, che non dovevano essere lineari, parola di Matteo Renzi, e invece lo sono. Ma sullo sfondo c’è l’intera legge di stabilità: l’obbligo di trovare una quantità incerta di miliardi (non meno di 20, non più di 30) senza avere ancora la minima idea di dove rintracciarli. Siedono così intorno al tavolo del capo il ministro dei Lavori pubblici Lupi, quello dell’econonomia Padoan, la ministra Boschi, Carlo Cottarelli, che nella confusione generale non si capisce più se è ancora commissario alla spending review o no, il consigliere economico Yoram Gutgeld. Devono risolvere il più spinoso e minaccioso tra i tanti guai che minacciano di rendere il prossimo autunno non “caldo” ma casomai “gelido”. Una gelata esiziale per il Paese oltre che per il governo.
Tra i capitoli spinosi il più immediato è la nomina dei componenti laici del Csm e della Corte costituzionale. Il Colle preme perché si faccia presto. La faccenda dovrebbe chiudersi domani. Che ci si riesca è difficile, quasi impossibile. Lo scoglio principale è Forza Italia. Alla Consulta, insieme a Luciano Violante per il Pd, dovrebbe andare Antonio Catricalà, scelto dal Sommo in persona. In altri tempi sarebbe stato un capitolo chiuso. Non è più così, e il particolare è indicativo. Donato Bruno, anche lui pretendente all’alto seggio, non ci sta e capeggia una rivolta in cui confluiscono tutti i malcontenti montanti nel partito azzurro. Per il Csm idem: ad Arcore spetterebbero due seggi. Uno, quello della senatrice Casellati, è blindato. Sull’altro la guerra è tanto feroce da mettere in dubbio persino la possibilità di indicare un nome.
Il Pd sta messo appena meglio. Deve indicare quattro consiglieri, ma proprio quello che fino a poche settimane fa pareva il più certo, Massimo Brutti, traballa. In ballo ci sono piuttosto le alchimie delle varie correnti e forse anche lo scetticismo del governo verso un esponente della vecchia guardia. Come se non bastasse, alla maggioranza spettano cinque nomine su otto. Ma una di queste sarà targata Ncd, che in materia di giustizia di maggioranza lo è per modo di dire. Così potrebbe rivelarsi decisiva la nomina scelta dal M5S. Sempre che, alla fine, la guerra interna a Fi non porti al dimezzamento dei suoi posti a favore della Lega o, più probabilmente, Sel.
Ma questo è solo l’antipasto. I piatti forti riguardano tutti il capitolo dolentissimo dell’economia. Sul tavolo c’è la delega Lavoro, i cui contenuti sono al momento meglio custoditi della formula della Coca Cola. Dato e non concesso che esistano davvero. Dopo l’improvvida uscita della ministra Fedirica Guidi sulla cancellazione dell’articolo 18, ieri il suo staff ha provveduto a smentire, ma solo per metà. Le idee della ministra si sa quali sono, figurarsi, però a decidere sarà don Matteo e lei non si metterà di mezzo. Meno disponibili i centristi, che invece insistono per lo scalpo di quella che nella sostanza è una scatola vuota ma conserva un peso simbolico non trascurabile. Pier Casini lo vuole cancellato, e lo ha ripetuto ieri. L’Ncd batte i pugni con il medesimo obiettivo. Il governo sguscia tra una formula ambigua e l’altra.
Cosa fare Renzi ancora non lo ha deciso. L’art.18 è un jolly che può essere adoperato con modalità opposte. Lo si potrebbe difendere, per far digerire ai lavoratori una riscrittura dello Statuto dei lavoratori che certo non accrescerà i loro diritti, ma lo si potrebbe anche impugnare in Europa, a riprova della strenua determinazione del governo nel riformare a ogni costo.
L’ipotesi più probabile è quella accennata ieri dal responsabile economico del Pd Taddei: «Bisogna superare l’articolo 18». In concreto, far passare la sua definitiva cancellazione come un adeguamento ai nuovi tempi favorevole ai lavoratori stessi, discorso del resto valido per l’intero Statuto. I diritti non saranno cancellati, ohibò. Solo superati. Tutta un’altra cosa.
Secretata come una formula nucleare anche la nuova versione dello Sblocca Italia. Si sa solo che della prima versione resterà ben poco, che i fondi saranno tanto esigui da sbloccare sì e no una cittadina di medie dimensioni, che i poteri del premier sulle Regioni saranno ridimensionati e che però resteranno comunque sia la norma che rende le trivellazioni questione di interesse nazionale con priorità assoluta sia quella che garantisce sgravi fiscali del 20% a chi costruisce autostrade. Non sono due faccende secondarie: prefigurano infatti un drastico cambio di rotta nella politica energetica, dalla scommessa sulle rinnovabili al ritorno in auge del petrolio e del gas (di qui le autostrade). Ma per il resto, buio assoluto come giustamente denuncia la forzista Annamaria Bernini.
Poi, naturalmente, c’è il capitolo Pubblica amministrazione, e quello sì che potrebbe rendere caldo il gelido autunno di Matteo Renzi, squassando la sua maggioranza.
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