I toni sono apparentemente meno aspri del solito, la sostanza invece più rigida. Rotte le trattative sulla richiesta renziana di dimissioni di Giuseppe Conte, per poi dar vita a un Conte ter, i duellanti corrono verso il confronto nell’aula del Senato, in una sfida all’ultimo voto. Qualche residuo margine di trattativa c’è ma ridotto all’osso. Se lo spiraglietto si allargherà o meno lo si capirà oggi stesso, nel vertice dei capidelegazione. In caso di fumata nera, la crisi prenderà la rincorsa per esplodere poi in parlamento la settimana prossima.

LA «MOSSA» CHE IL PD invocava da parte del premier arriva a metà pomeriggio, subito dopo la consegna a palazzo Chigi della terza bozza di Recovery Plan, prima di discutere la stessa bozza, illustrandola senza consegnarla per esigenze di riservatezza, ai partiti della maggioranza. È un lungo post su Facebook che, nel gioco di mosse e contromosse nel quale sono impegnati Conte e Matteo Renzi, suona come irrigidimento, nella sostanza se non nella forma.

Del resto a chiudere le porte, in mattinata, era stato il capo di Italia viva, rifiutando per l’ennesima volta la formula del rimpasto senza crisi dalla quale Conte non intende smuoversi. Il post del presidente del consiglio, dopo aver segnalato che il governo «preferisce alle parole un silenzio operoso», verte tutto e solo sul Recovery Plan, ignorando le altre richieste e gli altri temi posti da Iv. Indica le esigenze di «rafforzare la coesione della maggioranza e quindi la solidità della squadra di governo» come condizioni imprescindibili per vincere le «sfide imponenti» che aspettano il Paese.

Si traduce: rimpasto e nulla di più. Un paio di ministeri aggiunti per decreto, qualche sottosegretariato, una poltrona di lusso per un nuovo ministro o ministra renziano, forse Maria Elena Boschi, più probabilmente Ettore Rosato. Ma di dimissioni non se ne parla.

CONTE ASSICURA che nel merito «non è mai venuta né mai verrà meno» la disponibilità all’ascolto delle forze di maggioranza e poi dell’intero parlamento. In effetti la bozza raccoglie molte indicazioni del Pd e dei renziani ma non c’è alcun riferimento a un accesso parziale al Mes, 12 miliardi sui 36 a disposizione. Il premier annuncia che la bozza, dopo essere stata discussa con le forze di maggioranza, arriverà al consiglio dei ministri per l’approvazione.

Nessun accenno a quel vertice di leader su cui puntava il segretario del Pd Nicola Zingaretti e che, data la scelta di parlare solo di Recovery Plan, sarebbe del resto inutile. Dopo gli incontri di ieri pomeriggio con la maggioranza si passerà al vertice dei capidelegazione oggi. Poi starà solo al premier decidere se scoprire subito le carte convocando per domani il consiglio dei ministri, come è probabile, o aspettare sino a lunedì. Ma a questo punto rinviare uno scontro inevitabile avrebbe poco senso.

DEL RESTO ANCHE se nel post Conte smentisce ogni tentazione di guardare oltre il perimetro della maggioranza, sta affilando le armi in vista dello showdown al Senato. Fuori di metafora sta cercando ovunque i voti necessari per ottenere la fiducia anche senza i 18 senatori di Italia viva.

LA REPLICA DI RENZI arriva in serata, un po’ meno drastica del solito: «Aspettiamo Conte in Senato. Se è in grado di fare faccia, cominciando a vaccinare tutti gli insegnanti, sennò toccherà ad altri. Non c’è nessun rischio di elezioni anticipate». Il leader di Iv ammette però che nella nuova bozza di Recovery Plan sono state accolte alcune delle sue richieste. Potrebbe essere un segnale, anche se davvero piccolo, di apertura.

Anche perché per tutto il giorno, pur con toni diversi, il resto della maggioranza ha fatto muro in difesa di Conte. Grillo affidandosi a Cicerone per riapplicare al senatore di Rignano il classico «Quo usque tandem», il Pd, con Andrea Orlando, dissertando sulla oggettiva impossibilità di trovare un punto di equilibrio diverso da Conte: «Senza di lui si rotola verso le elezioni anticipate».

Ma gli ufficiali renziani ripetono che bisogna vedere la lettera della nuova bozza, perché per ora sono solo parole, e che senza il semaforo verde su almeno una parte del prestito Mes e senza la cessione della delega ai servizi segreti i segnali contenuti nella bozza comunque non basteranno.

SE SI ARRIVERÀ allo scontro diretto e alla conta in Senato tutto sarà davvero al buio completo. Se Conte sarà sconfitto verrà meno quello che i 5 Stelle e il Pd considerano l’unico punto di equilibrio possibile. Se ce la farà per un mazzetto di voti dovrà prima convincere il Colle a fidarsi di una maggioranza esigua e raccogliticcia, poi governare commissioni nelle quali i guastatori di una Iv all’opposizione potranno fare il bello e il cattivo tempo.