Governo palestinese, Netanyahu condanna gli Usa
Israele/Territori Occupati Il premier e i ministri israeliani puntano l'indice contro Washington che lunedì si è detta pronta a collaborare con l'esecutivo nato dalla riconciliazione Fatah-Hamas. Soddisfazione in casa palestinese per la presa di posizione americana
Israele/Territori Occupati Il premier e i ministri israeliani puntano l'indice contro Washington che lunedì si è detta pronta a collaborare con l'esecutivo nato dalla riconciliazione Fatah-Hamas. Soddisfazione in casa palestinese per la presa di posizione americana
Come Beppe Grillo anche Benyamin Netanyahu ha dovuto ingurgitare una pastiglia di Maalox per spegnere il bruciore di stomaco che lo ha colpito lunedì sera quando la sempre ben pettinata portavoce del Dipartimento di stato Usa, Jennifer Psaki, ha annunciato che «Alla luce di ciò che sappiamo, lavoreremo con questo governo palestinese». Il premier israeliano piuttosto avrebbe dovuto usare del ghiaccio per la sua guancia rossa e gonfia. Perchè l’altra sera ha ricevuto dall’Amministrazione americana una bella sberla. Washington si è allineata alla posizione dell’Europa e vede il nuovo esecutivo palestinese per quello che è: un governo tecnico appoggiato dall’esterno da varie forze politiche, a cominciare dai movimenti Fatah e Hamas che si sono riconciliati. E lo ha fatto dopo che il Segretario di stato John Kerry, forse per smarcarsi da una decisione presa dallo stesso Barack Obama, aveva dichiarato che gli Usa ritengono «appropriata» la reazione di Israele alla riconciliazione tra palestinesi e sono preoccupati per il coinvolgimento di Hamas.
Netanyahu non ha alcuna intenzione di porgere l’altra guancia. Ieri il premier e buona parte del governo hanno lanciato il contrattacco accusando l’Amministrazione americana di «ingenuità». Un’azione corale che ha avuto la sua punta più avanzata nel primo ministro. «Sono profondamente turbato dall’annuncio che gli Usa lavoreranno con il governo palestinese appoggiato da Hamas che ha ucciso innumerevoli civili israeliani», ha commentato il primo ministro. Poco dopo Netanyahu ha rincarato la dose durante un colloquio telefonico con Francois Hollande. Dopo aver ringraziato il presidente francese per l’arresto del sospettato per il recente attentato di Bruxelles, ha proclamato che «L’unità palestinese con l’appoggio di Hamas è un passo contro la pace e a favore del terrorismo. Sarebbe uno sbaglio dargli la legittimazione». Pesanti i commenti di altri esponenti del governo. Per il ministro delle comunicazioni Gilad Erdan «l’ingenuità americana ha superato tutti i record». Per il suo collega della sicurezza nazionale, Yuval Stenitz, gli alleati statunitensi hanno due voci: «Non potete presentarlo privatamente come un governo di Hamas per poi dire pubblicamente che è formato da tecnici».
Il noto analista politico Oded Eran da parte invita alla calma. «Non si tratta di una frattura (tra Israele e Stati Uniti) ma di un disaccordo – ha detto al manifesto – lo stesso accadde un po’ di anni fa quando Washington decise di aprire un canale di comunicazione con l’Olp di Yasser Arafat contro il volere di Israele. Non è stato un attacco alle spalle. Il primo ministro sapeva delle intenzioni americane». In ogni caso la battaglia ora si sposta negli Stati Uniti dove il governo Netanyahu spera che il Congresso, più filo israeliano della stessa Knesset, ora giochi qualche brutto scherzo ad Obama, magari bloccando i finanziamenti annuali per centinaia di milioni di dollari all’Anp che l’Amministrazione ha detto di voler continuare anche con il nuovo governo palestinese.
Il caponegoziatore palestinese Saeb Erekat ieri non stava nella pelle. Ironizzava sul premier israeliano. «Se Madre Teresa fosse il presidente palestinese, Thomas Jefferson primo ministro e Montesquieu presidente del parlamento palestinese, Netanyahu li accuserebbe di non essere buoni partner per la pace», ha commentato facendo sfoggio di cultura politica. E invece non è il caso di scherzare perchè i palestinesi non hanno ancora conquistato nulla e non possono rallegrarsi più di tanto per una occasionale presa di posizione degli Stati Uniti che non cambia nella sostanza la linea americana in Medio Oriente. Le aspirazioni palestinesi perciò restano al palo. A ricordarlo è il 47esimo anniversario dell’occupazione israeliana di Cisgiordania e Gaza che cade proprio in questi giorni. Ieri i soldati hanno ucciso un uomo nei pressi di Nablus (era armato secondo il portavoce militare), portando a oltre 60 il numero dei morti palestinesi in Cisgiordania dallo scorso luglio, quando ripresero i colloqui bilaterali mediati dagli Usa.
Le punizioni israeliane si annunciano pesanti, a cominciare dalle misure per impedire la partecipazioni dei candidati di Hamas alle elezioni parlamentari e presidenziali previste entro sei mesi. L’ultranazionalista ministro dell’economia Naftali Bennett, continua a lanciare appelli per l’annessione immediata a Israele dell’area C (il 60% della Cisgiordania). Altrettanto dure saranno le sanzioni economiche, a cominciare dal blocco dei fondi palestinesi (tasse e dazi doganali) per un ammontare di 100 milioni di dollari al mese. E il nuovo esecutivo di consenso nazionale dovrà pensare anche a come coprire i buchi di bilancio del disciolto governo di Hamas a Gaza, giunto con le casse vuote all’appuntamento della riconciliazione e 50mila dipendenti pubblici e miliziani sulle spalle. Il Qatar si dice pronto coprire per qualche mese il costo della “unificazione amministrativa” ma non durerà per sempre.
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