Governo: l’ultimo giro di tavoli
50 giorni di trattativa Salvini, e anche molti dem, sperano in un ritorno di fiamma tra Lega e M5S. E Mattarella non ha molte alternative prima di rassegnarsi alle elezioni in autunno
50 giorni di trattativa Salvini, e anche molti dem, sperano in un ritorno di fiamma tra Lega e M5S. E Mattarella non ha molte alternative prima di rassegnarsi alle elezioni in autunno
Salvini si ripete e all’apparenza non ce ne sarebbe bisogno dal momento che si limita a confermare quel che va dicendo sin dal 5 marzo scorso. Solo che il fantasma dell’accordo M5S-Lega non si riesce a esorcizzare. Continua ad aleggiare sui giù difficilissimi tentativi di formare una maggioranza e rende l’impresa ancor più improba.
Il vicepresidente della Camera Rosato, già capo dei deputati Pd nella legislatura scorsa, continua a non nutrire dubbi e lo spiattella nel pieno del travagliato percorso d’avvicinamento tra il suo partito e quello a cinque stelle: «Ci sveglieremo magicamente la prossima settimana e scopriremo che Di Maio e Salvini hanno lustrato gli anelli di fidanzamento». Non è un’analisi ma un desiderio: comprensibile dal momento che trarrebbe il Pd fuori dai guai, ma almeno sinora del tutto privo di sostanza. Però il pensiero magico continua a imperversare e complica le cose perché convince molti di avere a disposizione una «rete di protezione» per evitare il ritorno alle urne che è in realtà inesistente.
A Salvini non si può disconoscere la chiarezza. Va giù piatto: «Non “lascerò” Berlusconi. Non faccio come Renzi o Di Maio: mi presento con una squadra e vado avanti con quella squadra. Spero che Di Maio faccia un bagno di umiltà e torni a sedersi al tavolo con l’intero centrodestra. Altrimenti non vedo alternative alle elezioni e non c’è nessun bisogno di aspettare ottobre. Si può votare prima dell’estate». Sono parole che Salvini ha pronunciate più volte, ma sino a che non si sarà compiuto il rito delle elezioni in Friuli, caricate da molti analisti di significati esorbitanti non si sa perché, quelle affermazioni non saranno prese sul serio e molti continueranno ad aspettare con Rosato «la magia» del fidanzamento M5S-Lega.
Berlusconi sul punto dolente giura di non nutrire timori di sorta, ma a differenza dell’alleato non punta su elezioni lampo. Vorrebbe che il capo dello Stato incaricasse Salvini e lo spedisse in parlamento alla ricerca dei voti mancanti. Ma è una strada che piace poco a Salvini e niente a Mattarella. Difficilmente sarà imboccata dal Colle.
Alla via al momento maestra, quella della maggioranza M5S-Pd, il leader leghista concede zero probabilità su cento. Tutto lascia pensare che abbia ragione. Tra i due partiti in predicato di alleanza si sta ripetendo lo stesso balletto che ha tenuto la crisi a bagno maria quando i fidanzati erano Di Maio e Salvini. Grandi sorrisi, puntuali assicurazioni di buona volontà, ma sempre con gli ostacoli veri nascosti sotto il tappeto. Persino Paola Taverna, la più ruvida, derubrica il diluvio di insulti fatti piovere sul Pd a storia antica e il capo dei senatori Toninelli giura che è in corso «un vero, serio, responsabile tentativo» di formare un governo. Presieduto, aggiunge, da Luigi Di Maio, perché un governo diverso «non sarebbe accettato dai nostri elettori». È appunto uno dei nodi che andrebbero sciolti subito, per non andare poi a sbattere su uno scoglio non aggirabile come già capitato con il caso Berlusconi.
Non è l’unica condizione che il Pd, e se non tutto il Pd almeno la determinante area renziana, intende porre. Ancora una volta è Rosato a dirlo chiaramente: «Non possiamo fare un governo con chi pensa che si dovrebbero smontare le riforme fatte dai governi di centrosinistra». M5S, insomma, dovrebbe rinnegare cinque anni di opposizione ai governi Renzi e Gentiloni. Sia l’indisponibilità dei 5S a ridiscutere l’identità del futuro premier, sia le richieste oggettivamente inaccettabili di Rosato illustrano una strada che è tutta in salita, e le cui probabilità di successo sono, se non proprio pari a zero, almeno molto molto scarse.
A quel punto, senza colpi di scena giovedì nella direzione Pd, Mattarella, che sin qui ha scelto di non intervenire mai direttamente nella gestione della crisi, avrà due strade: tentare di costruire un suo governo con un lavoro di cesello, ma che al momento verrebbe bocciato, oppure insistere nell’interpretazione notarile del suo ruolo e rassegnarsi alle elezioni, forse non a giugno perché tenendo conto delle circoscrizioni estere i tempi sono di fatto già quasi scaduti, ma non oltre settembre. E con questa legge elettorale.
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