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Governo gialloverde. Alla fine anche Berlusconi si arrende

Governo gialloverde. Alla fine anche Berlusconi si arrendeMatteo Salvini e Silvio Berlusconi al Quirinale il 7 maggio scorso – Ansa

La trattativa Dopo una giornata di incontri, riunioni dei gruppi e dubbi, arriva la nota del leader di Forza Italia: «Da noi nessun veto». Ora sulla strada dell’intesa tra Di Maio e Salvini restano alcuni scogli. Come la scelta del premier

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 10 maggio 2018

«Non sta certo a noi porre veti o pregiudiziali». Con queste parole, in una lunga nota diffusa ieri sera dopo una giornata di indecisioni e dubbi, Silvio Berlusconi ha dato semaforo verde alla nascita di un governo M5S-Lega. Fi non voterà la fiducia. Berlusconi non chiarisce se si asterrà, come appare probabile, voterà contro o lascerà ai parlamentari libertà di voto. Quel che è certo è che non spaccherà la coalizione, e questo è ciò che conta: «Se un’altra forza politica della coalizione ritiene di assumersi la responsabilità di creare un governo con i 5 stelle prendiamo atto con rispetto della scelta».

LA SCELTA DAVVERO SOFFERTA è però la sua, quella del signore d’Arcore. Una decisione assunta in realtà con una pistola alla tempia: quella di un voto estivo che minacciava di ridurre all’osso il suo carniere elettorale. Dunque si è piegato. Sarà all’opposizione, ma non si tratterà certo di un’opposizione bellicosa: «Non potremo votare la fiducia ma valuteremo in modo sereno e senza pregiudizi l’operato del governo». Unica consolazione, in una resa che è certamente tale ma non incondizionata, la speranza di godere di una rendita di posizione comoda. Fi non sarà coinvolta nelle decisioni di un governo che pure nascerà, forse, solo grazie a al partito azzurro. Senza contare il pensiero riposto di raggiungere in qualche mese la forza parlamentare necessaria per rovesciare i rapporti di forza e imporre un governo di centrodestra.

UNA POSIZIONE CHE potrebbe essere messa a frutto già nei prossimi giorni, qualora Salvini e Di Maio non riuscissero comunque a trovare l’intesa: «Nessuno potrà usarci come alibi di fronte all’incapacità o all’impossibilità oggettiva di trovare un accordo tra forze politiche molto diverse». È ciò che il Cavaliere si augura, ovviamente, puntando sul primo scoglio non ancora aggirato dagli alleati gialloverdi: la definizione di un premier. La Lega avrebbe proposto Giorgetti, ma Di Maio non può piegarsi al punto di cedere palazzo Chigi a un leghista. Occorrerà trovare una figura terza e non è certo facile. Neppure si può pensare che il leader di Fi, che politicamente anche se non numericamente è determinante per la nascita del governo, rinunci a mettere bocca, sia pure con discrezione, in quella partita fondamentale. In fondo, l’unica garanzia che ritiene affidabile è proprio poter intervenire sulla scelta dell’inquilino di palazzo Chigi.

DEL PREZZO FA PARTE anche una sorta di riconoscimento politico. Il segno che, dopo i molti tentativi andati a vuoto martedì, la situazione poteva davvero sbloccarsi è arrivato ieri proprio quando il leader politico di M5S ha parlato per la prima volta di Silvio Berlusconi, «il male assoluto» stando al compagno di partito Di Battista, con parole di miele: «Tra tutti è il meno responsabile dello stallo e contro di lui non c’è nessun veto. Ma noi vogliamo un governo a due, perché cosa succede con i governi con quattro o cinque componenti lo abbiamo già visto». Insomma, il problema è non essere in troppi, non la biografia del leader azzurro. Più di questo, per indorare l’amara pillola, Di Maio non poteva dire. Per la sua base forse è già troppo.

Il capo dello Stato ieri aspettava che dall’amletica notte di Arcore e dal braccio di ferro tra i promessi sposi gialloverdi arrivasse una risposta definitiva e aspetta ora che una proposta ancora molto vaga acquisti fisionomia definita. Attende di avere lumi sul nome del premier concordato e su quale governo verrà proposto: un governo elettorale, come nell’ultima proposta di Salvini, o un esecutivo che ambisca a durare per l’intera legislatura?

IERI MATTINA MATTARELLA era pronto a convocare per le 17 Elisabetta Belloni per affidarle l’incarico. Non aveva cambiato idea dopo le parole zuccherose indirizzate da Di Maio a Berlusconi e neppure dopo l’incontro a sorpresa della mattina tra Salvini e il leader M5S. Il giorno prima erano arrivate a più riprese promesse di svolta: prima di congelare la convocazione Mattarella voleva qualcosa di ben impegnativo. È arrivato quando i due leader hanno convocato i rispettivi gruppi parlamentari, segno che qualcosa si era smosso davvero, e soprattutto quando è partita una richiesta formale, subito accettata, di rinviare la convocazione di 24 ore.

IN REALTÀ IL RINVIO è più lungo. Oggi Mattarella sarà a Firenze, con il presidente del Portogallo. Dunque il termine scadrà domani. Ma il passo indietro di Berlusconi ha certamente sbloccato la situazione e se i partiti chiederanno anche il week-end per indicare un presidente del consiglio, Mattarella non si dovrebbe opporre. Per il resto, è consapevole che una nuova partita è finalmente cominciata. Ma dagli esiti ancora confusi e incerti.

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