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«Governo a rischio». L’allarme di Giorgetti sul test del 21 giugno

«Governo a rischio». L’allarme di Giorgetti sul test del 21 giugnoMario Draghi – LaPresse

Cronache di palazzo Il ministro leghista invia un messaggio soprattutto a Salvini in vista del passaggio in aula sulla guerra. Conte incalza: «Ora il dialogo»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 4 giugno 2022

Non è un campanello d’allarme ma una sirena di quelle che quasi lacerano i timpani. «Credo che il dibattito del 21 giugno sia un passaggio rischioso ma Draghi persegue l’obiettivo della pace», dichiara nel tardo pomeriggio il numero due della Lega, il ministro Giancarlo Giorgetti. E chiarisce: «Se il parlamento sovrano non la pensa come il premier bisognerà trarne le conseguenze». O c’è l’accordo di maggioranza o tutti a casa.

SE GIORGETTI, TIPO FREDDO, poco impulsivo, ritiene necessario lanciare un simile messaggio rivolto prima di tutti al suo leader significa che nutre sospetti seri sulla scelta del capo, quando il parlamento discuterà formalmente sulle comunicazioni di Mario Draghi prima del prossimo Consiglio europeo ma sostanzialmente sulla guerra. Le quotidiane esternazioni di Matteo Salvini hanno negli ultimi giorni alzato significativamente il tiro.

Il leghista conferma di avere tutto il diritto di parlare con l’ambasciatore russo, e non ha torto. Ribadisce che continuerà «a percorrere a testa alta la via della diplomazia per la pace», ed è repertorio. Ma afferma anche che se Luigi Di Maio facesse il suo lavoro di ministro degli Esteri non toccherebbe a lui darsi da fare e, parlando degli sbarchi a Lampedusa, riserva gli stessi toni amichevoli alla ministra degli Interni Luciana Lamorgese: «Faccia qualcosa per giustificare lo stipendio da ministro» Se il capo del secondo partito di maggioranza taccia di inesistenza due ministri chiave si capisce che sorgano dubbi sul suo sostegno al governo.

FORSE ANCHE PER QUESTO, per non esasperare la tensione, le polemiche sulla pochade del viaggio in Russia vanno scemando. Certo Enrico Letta bersaglia, denuncia l’«iniziativa estemporanea con cui Salvini ha fatto male a se stesso e alla reputazione dell’Italia». Ma la tentazione di mettere politicamente il leader leghista sul banco degli imputati in parlamento è svanita e il sottosegretario con delega alla sicurezza Franco Gabrielli assolve il leghista: «Non credo che le sue azioni pongano in pregiudizio la sicurezza nazionale». Il Pd prevede e auspica che a ridurre «il Capitano» a miti consigli saranno gli elettori, nelle amministrative e nel referendum. È un calcolo sensato ma l’arma è a doppio taglio: se i governisti addebiteranno il probabile pollice verso degli elettori alle polemiche del leader, i salviniani si scaglieranno invece contro l’eccessivo allineamento alle scelte di Draghi.

LA MINACCIA PRINCIPALE, sul fronte della guerra, non arriverà però dalla Lega ma da Giuseppe Conte. «Dopo tre invii di armi ora è il momento del dialogo»: a tutt’oggi la posizione del leader dei 5 Stelle è che dall’Italia non debbano più partire armi dirette a Kiev. La diplomazia del Nazareno martella, insiste perché si arrivi a una risoluzione comune della maggioranza che eviti la spaccatura paventata da Giorgetti. Nel testo la parola maledetta, «armi», non comparirà. Il Pd pensa a una formula ellittica, qualcosa come la «conferma del sostegno all’Ucraina nelle forme già approvate dal parlamento». Un contentino formale accompagnato da un lungo passaggio, roboante ma insignificante nella sostanza, sulla necessità di lavorare in ogni modo per arrivare alla pace.

Conte si accontenterà della soddisfazione formale a copertura della resa sostanziale? Probabilmente no. La stesura della risoluzione sarà combattuta rigo per rigo, la tensione, alla vigilia del dibattito, per qualche giorno s’impennerà. Ma alla fine tanto il Pd quanto palazzo Chigi sono convinti che il leader dei 5 Stelle si acconcerà a fare buon viso, perché la posta in gioco è proprio l’alleanza con tra Letta e Conte, che non sopravviverebbe a una divaricazione sulla guerra. Le elezioni del 12 giugno, almeno nei calcoli del Nazareno, dimostreranno a Conte quanto poco spazio gli resterebbe senza l’asse con il Pd.

È PROBABILE CHE le previsioni del Nazareno si rivelino giuste. È difficile credere che il leader del Movimento 5 Stelle abbia il coraggio di rinunciare alle liste unitarie per recuperare quell’identità politica che i grillini hanno ormai completamente perso. Ma in una situazione così fragile, con di mezzo un passaggio nevralgico come la decisione del tribunale di Napoli sulla leadership dello stesso Conte, l’eventualità, per quanto remota, di un incidente terminale non è del tutto fugata.

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