«Se non usciamo dal governo neanche adesso, non lo faremo mai» dicono diversi parlamentari del Movimento 5 Stelle a Giuseppe Conte dopo l’affaire delle telefonate con Beppe Grillo e la smentita (giudicata «tardiva») del presidente del consiglio.

L’AVVOCATO SI GIOCA anche la sua leadership e non considera affatto chiuso l’incidente con Draghi. Ha intenzione di tenere aperta la questione e per questo non è ancora andato a Palazzo Chigi per un incontro pacificatorio. D’altronde, Conte non vuole rompere adesso e soprattutto sa che non può farlo su questi presupposti. Innanzitutto perché se ciò avvenisse ci sarebbe di mezzo il garante Grillo. È lui che nelle convulse discussioni della sua trasferta romana, ha inavvertitamente lanciato la bomba di Draghi e delle pressioni per far fuori Conte. Il fondatore è certo di essere stato strumentalizzato e considera che se questa storia diventasse l’espediente per uscire dalla maggioranza sarebbe un ulteriore attacco esplicito alla sua figura. Conte non se lo può (ancora) permettere. Non si può consentire neanche di alimentare il divario con quelli che sono rimasti nel M5S ma che considerano l’esperienza dell’esecutivo Draghi ancora utile: soprattutto i ministri. Al momento si trovano in minoranza: di tutt’altra idea sono gli eletti e dal lato della rottura vanno schierandosi i cinque vice di Conte. Da quella condizione i tre ministri e un pugno di parlamentari, con l’appoggio di peso di Roberto Fico, riescono per adesso a dettare la linea. Un traumatico passaggio all’opposizione potrebbe incoraggiare anche loro a passare con Di Maio.

A MAGGIOR RAGIONE dopo le ultime vicende, il M5S è ancora terreno di caccia di Insieme per il futuro. Parlando all’assemblea congiunta dei 61 parlamentari di Ipf (che nel frattempo grazie a Tabacci è riuscito ad avere il gruppo anche al senato), il ministro degli esteri ha rilanciato l’obiettivo della sua formazione: «Stabilizzare l’esecutivo» che rischia di essere indebolito «dai colpi di testa di alcune forze politiche». Di Maio non si è fatto mancare un riferimento al tetto dei due mandati, che fino a un paio di settimane fa giurava di considerare principio ineludibile: «Quello che vale è il merito, il talento, l’esperienza», dice adesso.

LA BUONA NOTIZIA per Conte è che Giancarlo Cancelleri ha preso bene la rinuncia alla candidatura alle primarie del centrosinistra per la presidenza della Regione Sicilia. La scelta è caduta per forza di cose su Nuccio Di Paola, capogruppo all’Ars. Cancelleri ha spiegato di comprendere benissimo che in queste giornate convulse non c’erano condizioni per offrire la deroga alla regola dei due mandati. Si dice sicuro che Conte uscirà addirittura «rafforzato» da questi ultimi contorcimenti del M5S.

RESTA IL FATTO che per la gran parte dei deputati e senatori pentastellati non si tratta di dover decidere «se» uscire dal governo, ma «quando» farlo: per molti stare sotto il pungolo continuo degli scissionisti ora vicinissimi a Draghi significa camminare lentamente lungo il viale del tramonto. Il problema si pone già da lunedì prossimo, quando arriva in aula il decreto Aiuti che contiene la norma pro-inceneritore a Roma. L’opzione presa in considerazione con maggiore favore era quella dell’appoggio esterno. Questo almeno fin quando Draghi ieri ha abilmente scartato questa possibilità: non esiste governo senza partecipazione diretta dei 5 Stelle, è la linea del premier, che quindi vuole far sapere indirettamente che non dà peso alla scissione e al ridimensionamento dei gruppi del M5S. «Continuiamo ad essere leali e responsabili – dice la capogruppo in commissione affari costituzionali della Camera Vittoria Baldino – Però ci auguriamo dall’altra parte la stessa lealtà e considerazione di una forza politica che è stata pure responsabile della nascita di questo governo in una fase così difficile per l’Italia, l’Europa e per il mondo». Ieri Draghi ha risposto a questo tipo di rivendicazioni ricordando che fin dalle consultazioni, aveva detto alle altre forze politiche che la presenza grillina era condizione determinante dell’esistenza dell’esecutivo. Ma un anno e mezzo fa, quando avvennero quelle trattative, il garante dell’ingresso dei 5 Stelle in maggioranza era Beppe Grillo. È anche dalla sua capacità di ritrovare credibilità dopo gli scivoloni e i passi falsi dei giorni scorsi che passa il mantenimento degli accordi presi.