I segnali che l’ennesimo messaggio poco chiaro di Giuseppe Conte (quello di sabato sera con il quale da una parte si annunciava la disponibilità a discutere con Mario Draghi sulla base del «documento dei nove punti» e dall’altra si prospettava l’uscita dalla maggioranza) non abbia affatto riportato l’armonia tra i parlamentari del Movimento 5 Stelle ma abbia anzi esasperato le tensioni fino a produrre una scissione ci sono tutti.

IL PRIMO ARRIVA in tarda mattinata, quando si apprende che il capogruppo alla Camera Davide Crippa, alla conferenza dei capigruppo ha proposto assieme agli esponenti di Pd e Iv che il premier mercoledì riferisca prima alla Camera. Più tardi si saprà che Conte non era al corrente della decisione di chiedere lo spostamento. Quando l’eterna assemblea congiunta dei parlamentari riprende, Crippa esplicita la sua posizione: dal momento il M5S ha sempre detto che la scelta di non partecipare al voto sul Dl Aiuti non riguardava la fiducia all’esecutivo, è il suo ragionamento, non si capisce per quale motivo mercoledì non dovrebbe votare a favore dell’esecutivo. Poi rilancia la linea del M5S di governo: «Dall’opposizione non possiamo fare nulla per migliorare la vita dei cittadini – prosegue Crippa – Faremmo solo propaganda».

È IL MOMENTO della seconda rottura, pesante sia dal punto di vista simbolico che sostanziale: Crippa comunica via mail a Rocco Casalino che il suo contratto da consulente del gruppo di Montecitorio appena scaduto non verrà rinnovato. Il regista della comunicazione contiana, colui il quale secondo alcuni sostiene la necessità di tirarsi fuori dal governo per arrivare meglio piazzati alle elezioni, viene fatto fuori. È il segnale dello scontro totale, di una frattura che si ripercuoterà domani in aula, quando bisognerà esprimersi sul governo. Con Crippa ci sarebbero in tutto una trentina di parlamentari, più deputati che senatori. Alcuni eletti che si sono esposti nei giorni scorsi come Maria Soave Alemanno e Federica Dieni, più altri che in queste ore stanno comunicando la loro intenzione di restare nella maggioranza. Tra questi il ministro dei rapporti col parlamento Federico D’Incà. Mentre la ministra per i giovani Fabiana Dadone assicura: «Seguirò la decisione del mio capo politico». «Se per tenere in piedi il governo e salvaguardare i provvedimenti epocali realizzati sinora rinunciassimo ai nostri valori fondanti, quei provvedimenti saranno cancellati subito la prossima legislatura», sostiene il presidente della commissione trasporti al Senato Mauro Coltorti.

PROVANO A MEDIARE (impresa disperata) il capodelegazione al governo Stefano Patuanelli e Alfonso Bonafede. «Il più grande errore in questo momento sarebbe dividerci in fazioni: falchi, contiani, responsabili e governisti – sostiene l’ex guardasigilli – Io non mi iscrivo a nessuna fazione. Sono orgogliosamente iscritto al M5S, una forza politica che pensa ai fatti e ai contenuti». Non è ancora chiaro lo schieramento di Roberto Fico. Per evidenti motivi istituzionali, il presidente della Camera non prende pubblica posizione sulla fiducia al governo. Ma visto che aveva platealmente scaricato Luigi Di Maio alla vigilia della scissione, se dovesse decidere di schierarsi con i governisti contro Conte, in nome dei rapporti con il centrosinistra che ha sempre considerato ormai strategici, ci si troverebbe di fronte ad un fatto importante. Manda segnali di fumo Beppe Grillo, che diffonde immagini di vasetti di colla che sembrano alludere all’attaccamento eccessivo alla poltrona di alcuni dei suoi.

DOPO ORE di interventi, Conte decide di tirare le fila. Rivendica che «la stragrande maggioranza ha colto la forza e la coerenza della nostra posizione». Stando agli interventi nella maratona assembleare, sembra abbia ragione. Ma i governisti di Crippa confidano che dalla maggioranza silenziosa escano altre voci in dissenso. L’avvocato comunque avvisa: «Se qualcuno ritiene di non poter condividere un percorso così partecipato e condiviso faccia la propria scelta in piena libertà, in maniera chiara, subito e senza ambiguità». Poi cerca ancora una volta di lasciare il cerino in mano al premier. «Adesso la decisione non spetta a noi ma a Draghi». E ribadisce quel che aveva detto qualche giorno fa: «Proseguire a tutti i costi nella responsabilità di governo senza chiarire l’agenda sociale al suo interno: questo sì che sarebbe un atteggiamento irresponsabile».