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Governi sudditi, politica estera irrilevante

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Da Tripoli a Dublino Mancando un minimo di analisi non si è neppure in grado di trarre delle conclusioni di politica estera che abbiano una qualche rilevanza effettiva mentre in Europa si prepara la notte dei lunghi coltelli sulla riforma del trattato di Dublino sull’immigrazione

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 7 giugno 2018

Come si avvia l’Italia G-7 del Canada che comincia domani? La politica estera è una materia complessa e i politici italiani in maggioranza ne masticano assai poca, come del resto anche di storia e geografia.

Se ci fosse un esamino pre-elettorale la gran parte verrebbe bocciata e così si preferisce scegliere gente che non è stata neppure eletta alle urne: una simpatica tradizione rinnovata in questa legislatura.

Il nuovo presidente del Consiglio parla con il suggeritore e si sente soprattutto quando pronuncia la formula rituale della consunta repubblica del Belpaese: «La convinta appartenenza all’Alleanza Atlantica, con gli Stati uniti d’America quale alleato privilegiato».

È vero che aggiunge, per tenere buono il sulfureo Salvini, «una revisione del sistema delle sanzioni alla Russia». Tanto sappiamo perfettamente che mentre il pilastro Nato non si scalfisce, per rimuovere le sanzioni europee a Mosca ci vuole ben altro che l’iniziativa italiana.

A sette anni dalla caduta di Gheddafi non si trova in questo Paese un uomo politico al governo che dica chiaramente chi ci ha messo nei guai: la Francia, gli Usa, la Gran Bretagna e la Nato, che avevano persino minacciato di bombardare i terminali dell’Eni.

In poche parole nessuno è in grado di riconoscere che la guerra in Libia del 2011 è stata la peggiore sconfitta italiana dalla seconda guerra mondiale. Con Gheddafi sei mesi prima avevamo firmato contratti miliardari e l’accordo sui migranti, diverso ma non troppo da quello che la Germania ha voluto fare con Erdogan per i profughi siriani.

Mancando un minimo di analisi non si è quindi neppure in grado di trarre delle conclusioni di politica estera che abbiano una qualche rilevanza effettiva mentre in Europa si prepara la notte dei lunghi coltelli sulla riforma del trattato di Dublino sull’immigrazione.

Si continua a girare intorno al problema: sono i nostri alleati che ci hanno destabilizzati. A questo si aggiunge la grave insipienza di accodarsi nel 2011 ai raid della Nato contro il regime libico: ne fossimo stati fuori oggi avremmo qualche argomento in più da giocarci.

Ma il premier Conte, che pure ha parlato un’ora e mezza, questa sintesi di poche righe non può farla: i nostri governi cambiano soltanto per restare ancorati sempre alla Nato, anche quando questa ci bastona. Questo non significa uscire dall’Alleanza Atlantica ma almeno segnalare che non si è troppo contenti di come sono andate le cose.

Quanto agli Stati uniti, saranno pure un alleato privilegiato ma non hanno detto una parola quando Erdogan ha bloccato la nave Saipem che andava a fare legittime prospezioni offshore a Cipro.

E la Turchia, non dimentichiamolo, è un altro alleato della Nato, alla quale però non si possono muovere rimproveri perché ricatta l’Europa con i profughi e gli Usa sulla questione siriana, usando la sponda di Putin e dell’Iran.
C’è un doppio standard nell’Alleanza Atlantica e abbiamo paura a dirlo: la cancelliera Merkel può raddoppiare il Nordstream 2, la pipeline del gas con la Russia, mentre il Southstream con Mosca dell’Eni-Saipem fu fatto saltare dalle sanzioni per la crisi Ucraina e l’annessione della Crimea nel 2014.

Vedremo cosa si diranno Conte e l’ineffabile Macron che la scorsa settimana ha convocato un vertice all’Eliseo sulla Libia con quasi tutti i principali protagonisti segnalando la volontà francese di scalzare l’Italia dalla ex colonia: da difendere c’è per lo meno la presenza delle imprese italiane, dall’Eni alle piccole e medie che tradizionalmente lavorano sulla Sponda Sud.

È con questo spirito, con la coda tra le gambe della Nato, che il nuovo governo italiano, non diversamente da quelli che lo hanno preceduto, si prepara ad andare al G-7 del Canada che inizia venerdì e si svolgerà a Charlevoix, in Quebec, presieduto dal premier canadese Justin Trudeau.

Sul tavolo c’è la questione dei dazi introdotti in maniera unilaterale dagli Usa su acciaio e alluminio anche contro l’Unione europea ma pure quella delle sanzioni all’Iran che bloccano 27 miliardi di commesse italiane. Siamo sicuri che come nelle volte precedenti faremo un figurone per manifestazione di indipendenza e sovranità.

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