Visioni

Gomorra atto secondo, i meccanismi del male

Gomorra atto secondo, i meccanismi del maleSalvatore Esposito e Fortunato Cerlino – foto grande Wolfgang Ennebach, piccola Emanuela Scarpa

Televisione Da stasera su Sky Atlantic i nuovi episodi della serie ispirata all'omonimo libro: «Si prende spunto dalla realtà per spiegare - sottolinea Roberto Saviano - come si muove la camorra, senza giudizi morali»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 10 maggio 2016

Il male, il potere e le sue possibli declinazioni. Intorno a questi due temi ruotano ancora le vicende di Gomorra, seconda stagione prodotta sempre da Sky, Cattleya e Fandango in associazione con Beta Film, presentata nell’inconsueta cornice del teatro dell’Opera a Roma. Stasera i primi due episodi alle 21.10 su Sky Atlantic e poi – sempre due per volta – verranno trasmessi gli altri dieci per cinque settimane. Si ricomincia dalla «fine» del clan Savastano, la morte di Donna Imma e il ferimento del figlio Ciro proprio mentre il «padrino» Pietro evade dal carcere. Un grande vuoto di potere che in molti vorrebbero colmare, a partire da Ciro (Marco D’Amore) «l’immortale», attraverso un gioco mortale di alleanze con i boss dei clan un tempo vicino ai Savastano – in primis con Salvatore Conte (Marco Palvetti), il «mistico» camorrista appena rientrato dalla Spagna. Un’alleanza «democratica» in cui tutti dovrebbero avere lo stesso peso, ma dove è chiaro che Ciro e Conte tenteranno di imporre la propria egemonia.

Realizzata in 32 settimane di riprese, con 200 attori, oltre 3 mila comparse, riprese in Italia tra Napoli, Roma e Trieste, in Germania e in Costa Rica, Gomorra oltre a essersi portata a casa premi da festival, è stata venduta in 130 paesi (in agosto arriverà anche negli Usa su Sundance tv). Una serie girata in napoletano: «Ma agli inizi – spiega Andrea Scrosati, vice presidente esecutivo programming Sky – nessuno ci dava credito, dicevano che una serie così non l’avrebbero vista a Roma, figuriamoci a Parigi». E invece, la «fabbrica» creativa della fiction ispirata al romanzo di Roberto Saviano, è già al lavoro per la stesura contemporanea della terza e quarta stagione.

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Un successo, quello di Gomorra, che sta forse nel mostrare la camorra dal punto di vista «capovolto»; quello dei Savastano, dei boss di Secondigliano e Scampia. Storie raccontate facendo largo uso di esterni, immerse dentro la realtà di tante vicende di cronaca. Non c’è lo Stato, non ci sono le istituzioni, la Chiesa, quasi un mondo a parte. «È rassicurante raccontare un boss come un modello di male assoluto perché la gente normale possa dire: io non sono così – sottolineano gli sceneggiatori Stefano Bises e Leonardo Fasli. «In Gomorra invece l’amore, l’amicizia, la lealtà, sono destinati a soccombere di fronte al potere. Anche se tutto questo lascerà delle ferite». Una fame di potere che spinge i protagonisti in un abisso senza ritorno, come accade a Ciro nelle scene finali del primo episodio.

«Nel raccontare Gomorra – spiega Saviano – non possiamo prescindere dalla realtà. Ma ne prendiamo spunto per far comprendere al pubblico di tutto il mondo quali sono i meccanismi del potere malavitoso emancipandoci dalla retorica e da ogni giudizio morale. Gomorra non denuncia ma descrive». Rispetto alle serie crime made in Usa, spiega anche la dinamica degli eventi: «Le fiction americane non spiegano come si crea una piazza di spaccio, come si controllano le elezioni, come si pianifica una esecuzione».

Uscita di scena Donna Imma, entrano nel cast due nuovi importanti personaggi femminili: Scianel, donna di poche parole e senza tanti scrupoli- interpretata da Cristina Donadio – attrice teatrale, e la giovane Patrizia (Cristiana Dell’Anna) cresciuta (troppo) in fretta. «Non portano uno sguardo femminile della narrazione – spiega Francesca Comencini, che insieme a Claudio Cupellini, Claudio Giovannesi e Sergio Sollima si dividono la regia dei dodici nuovi episodi – anche perché il meccanismo, il sistema che raccontiamo ricopre e condiziona tutto e tutti». Però esistono: «Certo, magari le troviamo nelle pagine delle cronache locali – aggiunge Saviano – donne che hanno preso il posto dei mariti finiti in carcere». Donne che si riuniscono per consigliare ai figli di fare rapine piuttosto che omicidi, perché per i primi si prendono «solo» quattro anni invece che «dieci o molti di più». «Donne che urlano – chiosa la Comencini – che cercano di dimostrare un loro senso di appartenenza, una fedeltà al progetto criminale».

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