La Libia si allontana dalle elezioni e si riavvicina al baratro della guerra civile. Ieri, poche ore dopo l’attentato al quale sarebbe sfuggito il premier del Governo di unità nazionale Abdulhamid Dabaiba, i 147 deputati della Camera dei rappresentanti, il parlamento di Tobruk, nell’est del Paese,  hanno nominato all’unanimità come nuovo primo ministro Fathi Bashagha, affidandogli l’incarico di formare un esecutivo che dovrebbe guidare il Paese alle elezioni. Dabaiba ha già annunciato che non riconoscerà la legittimità del voto. Ex ministro dell’interno, originario di Misurata, Bashagha era atteso ieri sera a Tripoli. La sua nomina è stata accolta con soddisfazione dal Comando generale dell’Lna che fa capo al generale Khalifa Haftar, sostenuto da Russia, Egitto ed Emirati, che ha tentato in più di una occasione di conquistare Tripoli con la forza delle armi. Secondo la road-map preparata dalla Camera dei rappresentanti a Tobruk, il nuovo esecutivo rimarrà in carica per un periodo di 14 mesi in seguito al referendum sugli emendamenti costituzionali: solo dopo si terranno le elezioni presidenziali e parlamentari.

Gli osservatori parlano di golpe morbido contro al Dabaiba che però gode della protezione di varie brigate libiche e di militari turchi e dell’appoggio di Sadiq al Kabir, il governatore della Banca centrale libica garante per gli aiuti internazionali al paese. I sostenitori di Bashagha, aggiungono, cercheranno di agire subito per legittimare la sua premiership. Ma è da escludere che l’uomo scelto da Tobruk riesca a restare a Tripoli. Tuttavia, le milizie anti-turche nella Libia nordoccidentale appoggiano Bashagha che potrebbe rivelarsi una spina nel fianco di Dabaiba.

L’accaduto ha subito allarmato la sponda nord del Mediterraneo. La viceministra degli esteri italiana, Marina Sereni, ha riconosciuto durante il Question Time alla commissione esteri della Camera dei deputati, che il processo di transizione istituzionale in Libia sta incontrando difficoltà rilevanti e che il rinvio delle elezioni ha aperto una fase politica colma di insidie.