Gli zero virgola della propaganda
L’altalena del Pil La realtà smentisce i nostri governanti: dopo aver subito una crisi più pesante, cresciamo grosso modo della metà rispetto a un’Europa che cresce poco
L’altalena del Pil La realtà smentisce i nostri governanti: dopo aver subito una crisi più pesante, cresciamo grosso modo della metà rispetto a un’Europa che cresce poco
Sono passati pochissimi giorni dalle ultime esternazioni di Renzi prima e Padoan dopo sulle magnifiche sorti della nostra economia nazionale. Il Presidente del consiglio e il ministro dell’economia hanno affermato che l’Italia marcia tranquilla e a una velocità superiore agli altri paesi europei.
In questo clima di euforia l’Unità è arrivata a titolare l’altro ieri “In 9 mesi 900 mila posti di lavoro in più” inducendo il lettore a pensare ad una occupazione aggiuntiva che, purtroppo, non c’è. L’occupazione in più, come ha dimostrato l’Istat e come abbiamo già scritto, dopo i tanti interventi europei e nazionali, si sta stabilizzando sui 200.000. Niente di più, niente di meno. Naturalmente meglio che nessun occupato, ma ben poca cosa se si tiene conto di quali prezzi si stanno pagando tra 12 miliardi di contributi alle imprese e diritti cancellati.
In ogni caso, non è affatto vero che, in termini di occupati, stiamo marciando meglio che in Europa: nell’ ultimo trimestre l’occupazione in Europa è aumentata dello 0,8%, in Italia dello 0,3%. Una bella differenza comunque.
Adesso Istat ed Eurostat, fornendo i dati del Pil relativi al terzo trimestre, ci informano che rispetto al secondo trimestre, il Pil è aumentato in Italia dello 0,2% ed in Europa dello 0,4%, mentre rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno il Pil è aumentato in Italia dello 0,9% ed in Europa dell’ 1,5%.
Da quale fonte provengano i giudizi ed i numeri dei nostri governanti non è dato sapere. La realtà li smentisce: dopo aver subito una crisi più pesante, cresciamo grosso modo della metà rispetto ad un’Europa che cresce poco.
Il fatto non ci fa certo piacere. In primo luogo perché le previsioni di chiusura a fine anno si fanno più nere rispetto a quelle utilizzate per la stessa legge di stabilità in discussione e questo potrà produrre solo ulteriori restrizioni. In secondo luogo perché i dati più negativi del previsto sono dovuti alla caduta della domanda estera: ad agosto l’export verso i paesi extra Ue era caduto del 5%.
E poiché la domanda interna rimane debole, prevedere a fine anno una crescita vicina all’1% richiede quasi un miracolo: un aumento congiunturale nel quarto trimestre intorno all’1% rispetto allo 0,2% del terzo ed un aumento tendenziale, rispetto a quarto del 2014, più che doppio.
Ce lo auguriamo, ma ci sembra realisticamente difficile.
Ci scusiamo con i lettori per questa analisi e per questi tecnicismi. Purtroppo ci troviamo di fronte a forzature ed interpretazioni dei dati statistici inaccettabili ed inverosimili, guidate solo dall’esigenza di fare titolo ed opinione. E dunque si spinge il confronto su un terreno di battaglia – una guerra dei decimali – sempre più lontano dai problemi reali e assai concreti delle persone.
Vale la pena ricordare che da quando è cominciata la lunga crisi abbiamo perso il 25% di produzione industriale, il 9% di Pil, l’8% di consumi. E che per raggiungere i livelli europei – come ricordava di recente proprio in un bell’articolo sui decimali Luca Ricolfi – il nostro tasso di occupazione dovrebbe crescere del 10%. Tutte cifre intere e ben superiori ai dati di cui si parla.
E teniamo presente che variazioni dello zero virgola, quando si parla di statistiche, sono poco o per nulla significative per l’errore statistico implicito in tutte le rilevazioni e stime. Per cui dire che 0,3% è un successo e 0,2% una catastrofe è perfettamente ridicolo.
Il Presidente del consiglio ha adesso dichiarato, di fronte a questi dati, che si aspettava di più.
Potrebbe essere un buon inizio. Se significasse prendere atto che le iniezioni di fiducia possono far salire le aspettative, ma non è detto che la realtà segua a ruota. Se significasse riconoscere che i problemi sono più grandi e difficili, quantitativamente e qualitativamente, di come ce li rappresentiamo, che richiedono interventi più mirati ad alcuni settori – lavoro e giovani – e meno generici e rivolti a tutti, più orientati a risolvere le questioni più pesanti piuttosto che a raccogliere consensi nell’orto del vicino che cerchiamo di occupare sempre di più…..
Ci piacerebbe pensare che questa svolta possa esserci, ma forse, anzi senza forse, stiamo esagerando.
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