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La Giordania si vendica e impicca i prigionieri dell’Isis

La Giordania si vendica e impicca i prigionieri dell’IsisProtesta in Giordania contro il governo dopo il barbaro omicidio del pilota da parte dell'Isis – Lapresse/Reuters

Isis Dopo la morte del pilota al-Kasasbeh, scoppia la rabbia: manifestanti danno fuoco ad un ufficio governativo. Re Abdallah promette un nuovo ruolo nella coalizione. Altissima tensione ad Ay e nella capitale. Il governo esegue le condanne contro i due iracheni affiliati all’Isis ed esamina tutte le «opzioni militari». Gli Usa raddoppiano la fornitura di armi al regno

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 5 febbraio 2015

La Giordania vendica il pilota Moath al-Kasasbeh e spera di impedire con il sangue l’escalation di tensioni interne: ieri all’alba la condanna a morte che pesava sulla qaedista Sajid al-Rishawi è stata eseguita. Con lei è stato impiccato nella prigione di Swaqa l’iracheno Ziad Karboli. Ex consigliere del leader di al Qaeda in Iraq al-Zarqawi, Karboli – come al-Rishawi – rappresentava il legame con quella branca dell’organizzazione madre che lo Stato Islamico considera riferimento ideologico.

Nel pomeriggio di ieri il portavoce governativo al-Momani ha aggiunto che il paese sta discutendo in queste ore le possibili opzioni militari per contrastare l’Isis. Sul tavolo c’è la probabile intensificazione del ruolo all’interno della coalizione: «Ogni agenzia militare e di sicurezza dello Stato sta studiando le proprie opzioni – ha detto al-Momani – La risposta della Giordania sarà annunciata al momento opportuno». La questione è stata trattata anche oltreoceano: mentre un gruppo di senatori repubblicani annunciava l’intenzione di accelerare i tempi di consegna di nuove armi alla monarchia hashemita, la Casa Bianca firmava un nuovo accordo che fa passare gli aiuti militari e economici per il prossimo triennio da 660 milioni di dollari l’anno ad un miliardo.

Così Amman spera di tenere a bada le pericolose pressioni interne. Le autorità giordane hanno promesso «una reazione da far tremare la terra» e martedì sera re Abdallah è apparso per poco più di un minuto in tv per ricordare che il pilota era figlio di tutta la Giordania, e non solo un membro di una tribù, un modo per tenere unito un paese che la lotta all’Isis potrebbe sfaldare.

I primi segni di insofferenza sono comparsi martedì notte: nella capitale manifestanti furiosi si sono ritrovati in piazza e intonato slogan contro l’Isis. Non convincono del tutto i tentativi della monarchia di calmare le acque: esercito e esecutivo hanno dichiarato che al-Kasasbeh è stato giustiziato un mese fa. C’è chi considera tale versione un modo per giustificare lo stallo del negoziato in corso la scorsa settimana con lo Stato Islamico. Amman aveva chiesto prove che il pilota fosse ancora vivo, prima di rilasciate la qaedista al-Rishawi: se fosse effettivamente morto un mese fa, il governo sarebbe «scagionato».

Molto più intense le manifestazioni che hanno avuto come teatro Ay, città natale degli al-Kasasbeh: decine di persone hanno preso d’assalto un ufficio governativo, lo hanno dato alle fiamme e accusato le autorità di non aver fatto abbastanza per salvare la vita del pilota.

Il padre Safi – che nei giorni scorsi ha alzato la voce contro il governo – ha bollato le due esecuzioni come insufficienti e chiesto di più: «Voglio che lo Stato vendichi il sangue di mio figlio condannando a morte quei criminali che non hanno niente a che vedere con l’Islam». Una richiesta giunta anche da una delle più autorevoli istituzioni sunnite del mondo arabo, la moschea e università egiziana Al-Azhar, che senza mezzi termini ha auspicato la più irreversibile delle pene per i miliziani: «L’Islam vieta l’uccisione di esseri umani, atto maligno e vile – ha scritto il grande imam al-Tayib – Un atto così codardo richiede la punizione menzionata nel Corano per oppressori corrotti che combattono contro Dio e il profeta: la morte, la crocifissione, il taglio degli arti».

E se da ogni angolo della regione, dal Libano all’Iran al Golfo, si condanna la brutalità dello Stato Islamico, a parlare è anche Damasco: il ministro degli Esteri siriano ha fatto appello ad Amman perché non abbandoni «la lotta contro il terrorismo del califfato, del Fronte al-Nusra e delle organizzazioni operative in Siria e nella regione». La Siria non ha mai cessato di accusare la Giordania di sostegno a quei gruppi di opposizione laici e islamisti che combattono da 4 anni il presidente Assad, attraverso aiuti finanziari e militari e appoggio politico, permettendo l’infiltrazione di estremisti.

Ufficialmente Amman, uno dei partner strategici della coalizione, sta prendendo parte al programma Usa di addestramento di 5mila miliziani dell’Esercito Libero Siriano (che avrà come teatro Turchia, Arabia Saudita e Giordania), e già prima aveva messo a disposizione della Cia basi militari per il training delle opposizioni moderate anti-Assad. Ieri i media siriani definivano la morte di al-Kasasbeh la naturale conseguenza del sostegno di Amman ai ribelli.

Nelle stesse ore quella morte convinceva gli Emirati Arabi a sospendere i propri raid aerei contro l’Isis.

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