Internazionale

Gli Usa attaccano in Siria, colpite postazioni iraniane

Gli Usa attaccano in Siria, colpite postazioni iranianeForze statunitensi in Siria

Medio oriente Washington ha risposto al blitz con i droni del 15 agosto contro la base di Al Tanf attribuito a gruppi alleati della Guardia rivoluzionaria iraniana.

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 25 agosto 2022

Contengono più di un messaggio i bombardamenti aerei effettuati dagli Stati uniti nella notte tra martedì e mercoledì nell’area di Deir ez Zor, nell’est della Siria, contro postazioni di gruppi alleati della Guardia rivoluzionaria iraniana, in particolare la base di Ayash usata dalla Brigata Fatimiyoun, composta da combattenti afghani. I morti sono stati almeno sei, secondo fonti locali. «Questi attacchi di precisione – ha affermato Joe Buccino, portavoce del Comando centrale Usa (Centcom) – hanno lo scopo di difendere e proteggere le forze degli Stati uniti da attacchi come quelli del 15 agosto il contro nostro personale compiuti da gruppi sostenuti dall’Iran».

Buccino precisando che i raid – simili a quelli che Israele compie regolarmente in Siria – sono stati autorizzati dal presidente Biden, si è riferito all’attacco di droni del 15 agosto contro Al Tanf, la base usata dagli americani all’interno del territorio di Homs controllato dai miliziani siriani di Maghawir Al Thawra (sostenuti dagli Usa). Sono circa 900 i soldati americani in Siria, divisi tra Al Tanf e i giacimenti petroliferi orientali del paese. Il governatorato di Deir ez Zor è diviso in due dal fiume Eufrate: gli Usa – che dicono di essere in Siria per lottare contro l’Isis – e le Sdf a maggioranza curda controllano la parte orientale, mentre le forze governative siriane quella occidentale. A inizio settimana l’esercito siriano aveva bloccato per diverse ore un convoglio delle forze di occupazione statunitensi che si preparava ad attraversare la città di Al Salihiya.

Questi sono solo i motivi ufficiali offerti da Washington per spiegare il via libera all’attacco aereo dato da Biden. Gli Usa l’altra notte hanno anche detto di essere pronti a colpire obiettivi iraniani ovunque, e non solo in Siria. E che non si lasceranno fermare dai progressi fatti registrare dai negoziati per il rilancio del Jcpoa, l’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015, lasciando prevedere una intesa finale nelle prossime settimane. Pesano inoltre i malumori di Israele che ha accolto con grande disappunto (a dir poco) il probabile rilancio del Jcpoa, che ha sempre contestato e boicottato. Secondo Israele – unico paese della regione a possedere (in segreto) la bomba atomica – il Jcpoa, nonostante le restrizioni che contiene, permetterebbe a Teheran di assemblare un ordigno atomico. Il premier Yair Lapid, con parole pungenti, ha detto che il rilancio del Jcpoa non rispetta la promessa fatta a luglio da Joe Biden di impedire, ad ogni costo, che l’Iran possa dotarsi di bombe nucleari.

Dietro il bombardamento su Deir ez Zor c’è anche un avvertimento alla Siria: gli Usa non si ritireranno dal paese e non terranno conto del netto miglioramento delle relazioni tra Damasco e i suoi ex nemici nella regione, inclusa la Turchia. Ankara comunque non rinuncia all’occupazione di territori siriani. Ieri i suoi droni hanno preso di mira un mercato nella città di Tal Rifaat, a maggioranza curda, facendo diverse vittime. All’inizio della settimana le Sdf avevano respinto un assalto di mercenari alleati di Ankara alla periferia di Ain Issa.

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