Scuola

Gli universitari incontrano Bernini: «Ci rivediamo in piazza»

Gli universitari incontrano Bernini: «Ci rivediamo in piazza»Il Revolution Camp dell'Udu a Paestum

Welfare studentesco Il confronto tra gli studenti e la ministra a Paestum

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 6 agosto 2024

L’università è roba da benestanti. La metà dei giovani che provengono da famiglie con una condizione economica negativa non prosegue gli studi. Anche i dati dell’Osservatorio #Conibambini, realizzato dalla Fondazione Con i Bambini e Openpolis, certificano il classismo entro cui sta sprofondando l’istruzione italiana.

Secondo il rapporto, la biforcazione tra chi avrà accesso ai gradi più alti dell’istruzione e chi non può farlo per ragioni di reddito comincia già nel passaggio tra medie e superiori: chi ritiene di avere alle spalle una famiglia con maggiori difficoltà si orienta meno spesso verso il liceo ed è tre volte più propenso, rispetto ai coetanei avvantaggiati, nella scelta di un istituto professionale. Per l’Osservatorio, quindi, il destino di molti bambini e ragazzi si disegna già alle scuole medie «per ragioni che potrebbero riguardare più la condizione della famiglia che l’effettivo potenziale di ragazze e ragazzi».

Lo stesso condizionamento si registra poi anche nel passaggio dalla scuola all’università. «Oltre 2 giovani su 3 (67,1%) con alle spalle una famiglia in condizione economica buona vogliono andare all’università – si legge nel rapporto -. Mentre se la condizione economica è ritenuta negativa la quota scende a meno della metà del totale (46%)». Si tratta, spiegano dall’Osservatorio, di «processi di autosegregazione che approfondiscono i divari educativi nella popolazione giovanile rispetto alla classe sociale d’origine». Il divario è anche territoriale: tra le 24 province in cui meno del 50% degli studenti si iscrive all’università, oltre la metà (14) si trovano nel Mezzogiorno.

PESANO LA PENURIA di borse di studio e di alloggi, nonché la tassazione, «tra le più alte d’Europa, con gli studenti che pagano circa mille euro all’anno», come ricorda l’Unione degli Studenti Universitari (Udu) che ieri ha ospitato al Revolution Camp di Paestum la ministra all’Università, Anna Maria Bernini, per un confronto. «Stiamo cercando di stabilizzare 850 milioni, cioè conservarli per l’anno prossimo e soprattutto, dopo il 2026 perché questo è il vero rischio – ha detto Berini agli studenti -. Il diritto allo studio è regionale, ci stiamo organizzando insieme alle regioni e alle singole università. Questo si combina con l’area di non tassazione che alcune università hanno aumentato».

Risorse che per l’Udu «sono insufficienti». «Quest’anno ci sono migliaia di idonei non beneficiari, studenti che avrebbero diritto alla borsa di studio ma non la ricevono per assenza di fondi. Il ministero vuole approvare un decreto che limiterà l’accesso alle borse, incrementando i criteri di merito», ha spiegato Alessandro Bruscella, coordinatore nazionale Udu, denunciando anche le forti disparità fra atenei del Nord e del Sud. Riguardo ai posti letto, alla mercé dell’interesse privato dato che l’Italia ha pochissime case dello studente, Bernini ha difeso la scelta dell’assegnazione di risorse ai privati per la costruzione di immobili. «Se voi pensate – ha detto la ministra agli studenti – che l’unico modo per avere studentati sia averli pubblici, vi dico che non sarà mai sufficiente, perché gli studentati pubblici che poi diventano di proprietà delle università ma per un ateneo avere degli immobili è un peso, è un costo, non un investimento. Per questo abbiamo fatto l’accordo con il Demanio».

L’UDU però ha controbattuto che «l’obiettivo non può essere quello di aumentare indiscriminatamente l’offerta, se poi i posti letto costano mille euro al mese. Per realizzare alloggi pubblici servono molte più risorse rispetto a quelle previste dal governo». L’associazione degli studenti ha anche denunciato l’impatto del taglio al Fondo di Finanziamento Ordinario di 173 milioni di euro su didattica e servizi. In ultimo, l’Udu ha chiesto una presa di posizione netta al governo sugli accordi di ricerca tra atenei italiani e israeliani «inseriti nel sistema di oppressione verso il popolo palestinese, il boicottaggio accademico sarebbe un importante strumento di pressione». «Apprezziamo il momento di confronto ma la disponibilità deve confermarsi quando in autunno faremo le piazze», hanno detto gli studenti.

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