Gli Ultrasuonati
JAZZ ITALIA
Nel mondo
dei Fab Four
Quante volte abbiamo ascoltato i Beatles in jazz? Non vale la pena neppure tentare il conteggio. Ci dev’essere un motivo, però, perché le melodie dei Fab Four continuino a sembrare freschezza sorgiva, e, per molti versi, scontornate dal tempo. Perché sono dei classici. Con questo spirito Erasmo Bencivenga al piano, Nicola Borrelli al basso, Giorgio Raponi alla batteria, propongono Kind of Beatles, Alfamusic, come i titoli che seguiranno. Campitura breve da lp, si parte con Across the Universe, si approda a Here There and Everywhere: ancora una volta, tutto funziona, i Beatles e il jazz. Tre le citazioni ed elaborazioni ben cucite in The Tree of Life, firmato dal chitarrista e vocalist Eugenio Mirti con i Bad Faith: da J.J. Cale al folk a stelle e strisce fino a Joe Zawinul. Tocco solido e bluesy sulle corde, riferimenti al funk, al jazz, al blues rock, al soul jazz con l’organo Hammond. Tutto materiale originale invece in Watching the Ceiling, del chitarrista Tiziano Gialloreto in sestetto: con il sax di Perteris Anceverins, e sostanza di scuola moderna: apice nella splendida Portrait N1. (Guido Festinese)
RISTAMPE
Riferimento
hardcore punk
Gli Indigesti sono stati tra i gruppi più rappresentativi della scena hardcore punk italiana (ma non solo) degli anni Ottanta. I loro concerti erano travolgenti e spettacolari, suonavano velocissimi e oltretutto benissimo (particolare comune a molte delle band del genere). Brani spesso cortissimi, di una potenza inaudita, corredati da testi visionari, amari, introspettivi. Divennero riferimento per generazioni di nuovi musicisti (italiani, europei, americani), in virtù di un sound che pescava dai classici del primo hardcore americano (dai Germs ai Bad Brains, via Circle Jerks e Zero Boys) ma con una personalità unica. La F.O.A.D. Records, in collaborazione con la band, ristampa la loro intera discografia dal 1982 al 1987. Il tutto arricchito da libretti con interviste, foto, flyer e grafiche dell’epoca. Osservati dall’inganno è lo storico album in studio del 1985 mentre Sguardo realtà 82/83 raccoglie le prime testimonianze sonore, incluso il mitico ep condiviso con i Wretched del 1982, il Live in Lubeck coglie al meglio il loro impatto sul palco. Band eccellente, un’opportunità per (ri)scoprirli. (Antonio Bacciocchi)
JAZZ
Primavera
norvegese
Stagione primaverile carica di buone uscite discografiche. Il Liv Andrea Hauge Trio pubblica Ville Blomster. Il terzetto condotto dalla sempre brava pianista che arriva da Mosjøen, Norvegia settentrionale, offre otto incisioni dove raggiunge l’equilibrio tra dolcezza e intimità. È un album tanto asciutto quanto espressivo che si apprezza in brani come Du Og Jeg, Baby, Gullregn e Fri Flyt. Struggente è Istid. Il tutto esce per Hubro, etichetta di Oslo che si occupa anche dell’entusiasmante ritorno della Nils Økland Band. Il quintetto del violinista, presenta dieci tracce racchiuse in Gjenskinn. Come la formazione cerchi e si confronti con altri mondi sonori da cui trarre ispirazione, è sintetizzato nella stupenda Kairo, melodia appresa nella capitale egiziana dal flautista Ahmed El Arnab. Da brividi anche Morgenkvist e Tilley Plump. Esordio per il bassista Daniele Marrone che tira le fila della Nine Lives Orchestra: Other Worlds (WoW Records) contiene cinque temi dove l’ensemble propone un suono arioso e lucente, con melodie di qualità. Ascoltate Midnight Down e In My Mind. (Gianluca Diana)
FOLK
Evocazioni
catalane
Le tradizioni catalane vengono qui variamente declinate grazie alla Segell Microscopi, benemerita intraprendenza di un’etichetta locale – con sede a Mataró e Banyoles – che punta a valorizzare stili eterogenei, uniti dall’integrità artistica e dall’impegno culturale. Anzitutto Resonancia dell’argentino Julián Solarz Grupo è il tentativo di attualizzare l’opera del compositore barcellonese Frederic Mompou (1893-1987), arrangiando, orchestrando, improvvisando, per settetto jazz, su dieci brani. Udolç di Alba Careta i Henrio, rispettivamente tromba e chitarra (oltre le voci) rappresenta il terzo album della collezione Càntut dedita alla tradizione orale nei dintorni di Girona: qui dodici ninne nanne rilette in chiave folk jazz. Infine Flamenco mediterraneo di Carlos Coronado offre undici originali del leader alla chitarra spagnola, contrappuntato dal violino quasi zigano di Montserrat Martos e dalle nacchere di Lopez e Martinez: un viaggio più evocativo che immaginario attorno alle tante anime delle musiche nella penisola iberica, fra modernità e arcaismo. (Guido Michelone)
LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico
ALTERNATIVE
Il gusto
dreampop
CHANEL BEADS
YOUR DAY WILL COME (Jagjaguwar/Goodfellas)
**** Un interessante debutto per il cantante e autore Shane Lavers, che si cela dietro lo pseudonimo Chanel Beads. Intendiamoci, non c’è nulla di particolarmente nuovo o originale nelle sue composizioni, che spingono verso sonorità che stanno a metà tra dream pop, lo-fi e elettronica gentile, mai invadente – come d’altronde si evince ascoltando l’intero album che vede l’aiuto di Maya McGrory alla voce e Zachary Paul al violino -, ma il livello compositivo è più che apprezzabile, tanto da aver attratto quelli della Jagjaguwar, che di roba buona se ne intendono. (roberto peciola)
ALTERNATIVE/2
Potenza
noise
THE CONFORMISTS
MIDWESTLESS (Computer Students)
**** Don Benito è un paesino della regione Extremadura, in Spagna. Le cose più interessanti della minuscola scena musicale locale passano dal club che prende lo stesso nome. Da quelle parti si è esibita anche la band proveniente da St. Louis, Missouri, nel 2018. Probabilmente i tre ci debbono aver lasciato un pezzo di cuore, considerato che hanno inciso appositamente Song for Rincón Pío Sound. È uno dei passaggi più aspri e veraci di un lavoro che suona noise e math rock. La registrazione andata in scena a ottobre 2022 nello studio Electrical Audio di Steve Albini, è sanguigna e potente. (gianluca diana)
SOUL FUNK
La rivoluzione
può attendere
THE NEW MASTERSOUND
OLD SCHOOL (One Note Records)
**** Non è lecito attendersi rivoluzioni musicali da veterani come la band di Leeds, attiva da un quarto di secolo e con una ventina di incisioni a base di funk soul strumentale con l’organo Hammond in primo piano, tra Meters e Booker T & the Mg’s, virati in chiave moderna. Non certo dal nuovo Old School, come da titolo esplicito, ma i dieci brani inclusi sono talmente coinvolgenti, ritmicamente travolgenti, suonati (molto bene), con palese gusto e divertimento, da rendere questo album gradevolissimo. (antonio bacciocchi)
FOLK ITALIA
La parabola
dei tre affluenti
GASTONE PIETRUCCI/LA MACINA
IL DONO CHE NON SI NEGA (M.C.M. Records)
Quando tre affluenti potenti convergono nel creare ciò che chiamiamo «arte», l’unica reazione possibile è l’ascolto silenzioso e la disponibilità a un incontro che lascerà segni concreti nel profondo. Primo affluente la poesia, di Scataglini, Caracciolo, Scarabicchi, Pagnanelli, Pasolini, secondo la musica, costruita come memoria di quanto nei secoli cantato nelle Marche. Terzo è la grana della voce di selce e di ombroso velluto di Gastone Pietrucci, «albero di canto» del suo territorio con La Macina. Ecco il capo d’opera. (guido festinese)
LIRICA
Un capolavoro
del melodramma
CAMILLE SAINT-SAËNS
DÉJANIRE (Palazzetto Bru Zane)
***** Tragedia lirica in 4 atti, première monegasca il 14 marzo 1911, torna in 2 cd e libro di Vincent Giroud e Sabine Teulon Lardic, diretta da Kazuki Yamada sul podio dell’Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, con il Coro dell’Opéra di Monte-Carlo e i cantanti Kate Aldrich, Julien Dran, Anaïs Constans, Jérôme Boutillier, Anna Dowsley. Il collega Gabriel Fauré all’epoca parla di una «musica potentemente evocativa, di grande purezza formale, la cui natura armonica talora attinge dalle tonalità antiche un sapore singolare». Un capolavoro nella storia del melodramma. (guido michelone)
AALEX
THE MOON! SHE’S WATCHING US (Autoproduzione)
*** Aalex è un batterista che si è stufato di stare dietro al palco. E allora si mette a produrre un disco in cui c’è tanto piano (dove probabilmente si è spostato per far nascere le sue canzoni), molti arrangiamenti delicati e ben curati in cui passa attraverso ambient, jazz, funk. Il tutto accompagnato da una bellissima voce soul elegante e, a tratti, da passaggi rap con flow di grande impatto. Chiaramente, da batterista, non ha dimenticato i beat, sempre molto vari (dall’hip hop alla drum’n’bass). (viola de soto)
CLAUDIO COJANIZ/ALESSANRO TURCHET
MADELEINE (Caligola)
**** Ci sono figure tanto schive, nella vita musicale jazzistica italiana, quanto valorose. Non compaiono spesso nei cartelloni dei festival di richiamo, non sono di moda perché sono sempre un po’ in anticipo o un po’ in ritardo su questi tempi amari. A questa stirpe appartengono Claudio Cojaniz, col suo pianoforte che può essere ruvido e martellante come quello di Monk, o lirico e danzante come certe volate di Abdullah Ibrahim, e Alessandro Turchet, bassista dalla cavata perfetta. Questa la nuova meraviglia. (guido festinese)
CALEB LANDRY JONES
HEY GARY, HEY DAWN (Sacred Bones/Goodfellas)
*** Certo che il ritornello dell’apertura Hey Dawn non può non far pensare ai Nirvana, e in effetti lo «spettro» del grunge aleggia, insieme a sentori psych pop (à la Sean Lennon), umori alt folk e, più genericamente sprazzi di classico indie rock Nineties. A prescindere dalle chiare influenze, Jones conferma doti interessanti anche come autore e cantante oltre che come rinomato e premiato attore. (roberto peciola)
LITTLE ALBERT
THE ROAD NOT TAKEN (Virgin/Universal Music Italia)
**** Una lieta sorpresa il nuovo lavoro firmato da Alberto Piccolo. Sette tracce dove si viene traslati dal blues rock di matrice 70s fino a quello contemporaneo. Allontanato qualsiasi aspetto dedito all’innovazione, l’autore affronta la questione con carattere e talento sia alla voce che alla chitarra, evitando il rischio di realizzare un album derivativo. Vi riesce pescando dal blues psichedelico di fine Sessanta di Muddy Waters, dal British blues e da quello Irish di Rory Gallagher per poi giungere allo stoner di inizio millennio. (gianluca diana)
MARIA MORAMARCO
STELLA ARIENTE (Visage)
**** Meno male che c’è chi ancora si dedica al recupero del suono antico come Maria Moramarco che in Stella ariente pesca nel sound pugliese e in quello religioso. In particolare recupera canti del periodo della Settimana di Passione come l’emblematico Lu venerdì sante. La sua lettura è di sintesi e di amore con un uso antico della voce, come si conviene a chi tiene davvero al passato. (marco ranaldi)
PERTURBAZIONE
LA BUONA NOVELLA (Warner)
**** Arriva solo ora, su disco, l’unico concerto – risalente al 23 ottobre 2010 nel teatro civico di Varallo Sesia – tenuto dalla band rivolese integrata dalle voci di Nada e Alessandro Raina, del capolavoro di Fabrizio De André, tratto dai Vangeli apocrifi. Evitando filologia o modernizzazione, il sestetto restituisce appieno il valore etico, letterario e musicale del concept album, optando per un suono folk rock, rinvigorito da citazioni medievaleggianti come pure da una spinta beat e prog. (guido michelone)
RAFFAELLA ZAGO
LOVE LETTERS (Grooving Recordings)
**** Ventisei anni, padovana, studi di canto e musica e gran passione verso la scena soul d’oltreoceano, debutta in maniera convincente con un album di dieci tracce, anticipato da tre singoli fra cui una azzeccata cover di Money Trees di Kendrick Lamar. Ma a colpire è soprattutto la sofisticata combinazione di elementi, il gusto mai banale verso atmosfere melodiche fuori dai generi, e un flusso di liriche che rimandano a (non sempre) tormentate relazioni amorose. (stefano crippa)
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