RISTAMPE
Mingus, tre in uno

«In altre parole, io sono tre». Diceva così di se stesso Charles Mingus, e non era un delirio mistico trinitario, ma consapevolezza di avere un io scisso in antitetici aspetti caratteriali. La sua musica turbolenta e dolcissima assieme riusciva quasi sempre a tenerli a bada, lasciando a noi solo il gusto dei capolavori. Le ristampe Candid – l’etichetta guidata da Nat Hentoff, che agli inizi dei Sessanta pubblicò dischi di una bellezza incandescente -, ora ce ne rioffrono due, per «Chazz». Prima segnalazione per un inedito da acquolina in bocca, Incarnations, con tracce rare e rarissime, anno di grazia 1960, con l’inedita All the Things You Are (All), che prefigura vertigini cameristiche successive. Mingus è anche, con Eldridge, Ervin, Dolphy, Jo Jones, e l’antico sodale Max Roach uno dei protagonisti di Newport Rebels, a celebrare un controfestival alternativo che fece scintille. Solo in vinile e digitale la ristampa per il centenario di Max Roach di We Insist! Freedom Now Suite, attinta dallo splendido mono originale. Con la voce fiera di Abbey Lincoln, per una delle incisioni della «coscienza nera» più intense di sempre. (Guido Festinese)

ALT FOLK
Emozioni naturali

In un mondo che sembra essere impazzito e in cui tutto pare correre verso un traguardo di cui non si conosce l’esatta collocazione c’è chi se la prende comoda e realizza dischi in cui è proprio un senso di calma e serenità (spesso però solo apparente) a fare da collante. È il caso di un veterano della scena alternativa britannica, Pete Astor che torna con Tall Stories and New Religions (Tapete/Audioglobe), un lavoro dal mood prevalentemente acustico in cui, accompagnato da una schiera di validi professionisti rilegge pagine meno note del suo songbook. Ed è un piacere. Si lascia ispirare dalla natura Sam Lee e realizza un album in cui la musica tradizionale del suo paese si unisce a sonorità contemporanee per un risultato di grande impatto emotivo. Tutto in songdreaming (Cooking Vinyl Bertus). Chiudiamo con il disco in collaborazione tra la voce del folk inglese, Marry Waterson, e l’irlandese Adrian Crowley, coadiuvati alla produzione di Cuckoo Storm (One Little Independent/Bertus) da Jim Barr (Portishead). Ballate dall’andamento lento magistralmente cantate da Waterson. (Roberto Peciola)

WORLD MUSIC
Una stella nascente

La bellezza del mondo attorno. Dalla Sardegna Arrogalla con Suite (La Tempesta Sur), un lavoro breve e fuori dagli schemi. Cumbia, electro, popolare sarda e un pulsare costante in dub costituiscono il telaio dove sono intessuti una miriade di percorsi sonori. Registrazioni sul campo e rumori di fondo arricchiscono le nove incisioni dove emergono ospiti come Pier Gavino Sedda e Cuncordu e Tenore de Orosei. È una trama tanto fitta quanto fruibile: segnaliamo Part 3 e Part 7. Avanti con la contrabassista e cantante franco-colombiana Ëda Diaz che esordisce con Suave bruta (L’autre). Ispirata dal cantante di salsa colombiana Joe Arroyo, fonde in modo personale stili del suo paese come curralao, bambuco e vallenato che scioglie in un electropop superlativo. Una stella nascente da apprezzare in Lo dudo, Tutandé e Tiemblas. Buono è Queridão (Nyege Nyege) del brasiliano Dj Anderson do Paraiso, che si presenta con diciassette canzoni di baile funk liquefatte in una electro rallentata e ipnotica. Per voi Vai mozão, Fode seu gostoso. (Gianluca Diana)

JAZZ ITALIA
Un barocco da rivisitare

La musica barocca da sempre affascina il jazz Usa – basti pensare al Modern Jazz Quartet – ma solo di recente gli italiani se ne appropriano, come accade al Trio Sonata in Blue Baroque (Deep Voice): Carlo Nicita (flauti), Eloisa Manera (violino), Tito Mangialajo Rantzer (contrabbasso) si «divertono» con Bach e Vivaldi o addirittura col madrigalista Machaut nel creare un sound consapevole nelle raffinate combinazioni tra due linguaggi lontani nel tempo ma vicini alle sensibilità del gruppo e dei singoli. Marco Fumo con Timeless (Odradek) riprende un solo autore, Domenico Scarlatti, accostandolo in sei sonate ad altrettanti ritmi sincopati del Novecento hot e cubano per il gusto di scoprire al pianoforte ulteriori connubi fra passato e presente con andamenti molto swinganti. Un autore barocco (Händel) c’è anche per Marco Castelli e Marco Ponchiroli in Songs for a Desert Island (Caligola) tra 11 compositori sia classici sia contemporanei) ridotti però, nel dialogo tra sax soprano e pianoforte, a un camerismo ristretto nella gamma di tempi, colori, timbri adoperati. (Guido Michelone)

TRIBUTI

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

BEYONCÉ
COWBOY CARTER (Sony)

***** Non è solo una superstar, Beyoncé è artista con la A maiuscola che pur in un contesto commerciale, riesce con le sue proposte a spingersi oltre il consentito. Cowboy Carter è il secondo atto – dopo Renaissance – di una trilogia che la vede scandagliare la musica e la cultura americana. E non solo. Qui si parte dal country – superba la versione che dà di Jolene di Dolly Parton – e si approda ai Beatles di Blackbird. 27 tracce nella versione digitale ma nessuna suona come riempitivo: un biglietto da visita più che sufficiente per rendere questo disco uno degli indispensabili lavori del 2024. (stefano crippa)

 

JAZZ
Modalità
bitonale

SYLVIE COURVOISIER & CORY SMYTHE
THE RITE OF SPRING (Pyroclastic)

**** A differenza di Le massacre du printemps nel 1971 da Jef Gilson, il capolavoro (1913) di Igor Stravinskij viene qui (per motivi di copyright) eseguito alla lettera nella versione per due pianoforti, ma accostato specularmente a Spectre d’un songe della solista svizzera che assieme al collega americano cerca di lavorare soprattutto sulle impressioni idiomatiche della ma anche riarmonizzando proprie creazioni in una modalità bitonale simile all’originale stravinskiano in una conversazione subliminale palesata nell’interazione dinamica tra i due pianisti. (guido michelone)

 

NEOSOUL
Fusione
esplosiva

MICHELLE DAVID & THE TRUE-TONES
BROTHERS AND SISTERS (Record Kicks)

***** Storia esemplare quella di Michelle David, cresciuta a New York, dall’età di quattro anni voce in cori gospel, poi in giro per il mondo in musical e opere teatrali, infine in studio a fianco di Diana Ross. Trasferita in Olanda si aggrega ai True-Tones con cui incide sei album e conquista premi e riconoscimenti. La nostra Record Kicks abbraccia il loro infuocato funk soul tinto di gospel, in una fusione esplosiva e vincente. I riferimenti si trovano nel soul anni Sessanta ma l’album è fresco e modernissimo. (antonio bacciocchi)

 

NEOPROG
Un ponte tra Italia
e Inghilterra

FJIERI
WORDS ARE ALL WE HAVE RELOADED (Stefano Panunzi Music)

**** Occhio al «reloaded» nel titolo: questo disco uscì in origine nel 2016, secondo capitolo per una straordinaria avventura neoprog ideata da Stefano Panunzi che gettava un ponte tra l’Italia e l’Inghilterra dei King Crimson, dei No-Man, dei Porcupine Tree, con pertinenti agganci jazz grazie alla tromba di Mike Applebaum e al sax fatato di Nicola Alesini. Con Tim Bowness, Gavin Harrison, la chitarra e la voce di Jakko Jakszyk, il basso corposo di Nicola Lori, e molti, molti altri ospiti d’eccellenza. Apertura con un inedito, la riscoperta è d’obbligo. (guido festinese)

 

ALTERNATIVE
Quasi
perfetta

JULIA HOLTER
SOMETHING IN THE ROOM SHE MOVES (Domino/ Self)

***** Si va da un’apertura, Sun Girl, che gioca con la sperimentazione a una seconda traccia, These Morning, in cui sentori jazz fanno pendant con umori psichedelici. E si prosegue su questa falsa riga, che tutto è poi tranne che falsa, perché la musica che crea Julia Holter è qualcosa di puramente reale, intensa. Una produzione al limite della perfezione, vedi la title-track, dalle reminiscenze prog Seventies speziate, ancora una volta, da sapori jazz. E che dire di Meyou, brano a cappella minimale. Di dischi così non se ne ascoltano molti, certo non dalle nostre parti… (roberto peciola)

 

AA. VV.
SWING PARADE (Mellophonium Multimedia)
**** Il sottotitolo Le migliori orchestre sincopate degli ultimi 20 anni informa già sul contenuto: 14 brani per altrettante formazioni antologizzate in vinile da preesistenti cd. Non moda o revival, bensì un’attenzione genuina verso tutto quel jazz che precede il bebop: il curatore Freddy Colt sceglie fra nomi eterogenei (Ottolini, Franco, Reggio i più noti) per offrire tanti omaggi di creatività sia filologica sia attualizzante alle prese con un repertorio hot, dixie, jive, boogie tra ballo e ascolto. (guido michelone)

MARTHA J & CHEBAT QUARTET
AMELIA (Autoprod.)
**** Joni Mitchell non è un lago tranquillo di note, è un oceano agitato e complesso che costeggia continenti frastagliati di musica. Bello che qualcuno come Martha J, vocalist eccellente, e il suo gruppo scelgano di avventurarsi perlopiù sulle piste meno battute, meno frequentate e confortevoli del mondo di note della grande canadese, dove è facile perdersi. Qui invece misura, gusto, eleganza garantiti. (guido festinese)

R.Y.F.
DEEP DARK BLUE (Bronson Recordings/Virgin)
*** R.Y.F. è lo pseudonimo dietro cui si cela la cantante e autrice ravennate Francesca Morello e Deep Dark Blue è il suo quarto lavoro in studio. Espletate le presentazioni andiamo a parlare di ciò che si ascolta all’interno dell’album, ossia un compendio di sonorità elettroniche e ritmiche sintetiche che guardano al futuro e a una sorta di electro punk hip hop distopico, lontane da logiche «mainstream», anche nei contenuti testuali. A impreziosire il tutto due notevoli guest, Moor Mother che offre la sua voce all’apertura, Blue, e Skin nell’altro singolo Can I Can U. (roberto peciola)

SOLEMUTO
L’ULTIMO CROMANTICO (Orangle)
*** One-man band all’esordio discografico, Adriano Giammanco ci regala un album in bilico tra sonorità oltreoceano (Pearl Jam, Soundgarden, il grunge e la psichedelia a cui ci avevano abituato Audioslave) e la canzone nostrana. Con i testi in italiano poi viene a galla la vicinanza di Solemuto a gruppi come Afterhours piuttosto che al cantautorato vecchio stile (alla Battisti). Un mix riuscito con episodi dal potenziale pop. (viola de soto)

ADAM WILTZIE
ELEVEN FUGUES FOR SODIUM PENTOTHAL (Kranky)
*** Delicato e flessuoso è il suono del compositore statunitense. Una sventura per lui non divenire quel campione di tennis a cui aspirava essere, una fortuna per noi averlo come musicista. Rammentato che per un anno ha lavorato in un cinema porno, abbiamo oggi un altro suo lavoro solista di buona fattura. I nove brani sembrano una unica enorme onda di ambient tradizionale. Sognante e avvolgente in Mexican Helium e nell’incantevole Buried at Westwood Memorial Park. (gianluca diana)

MIKE ZITO
LIFE IS HARD (Gulf Coast Records)
*** L’attacco dellla title-track fa bene al cuore e agli amanti della buona musica. Il chitarrista e cantante statunitense è in stato di grazia e lo racconta in questi dodici blues dove ha creato le condizioni giuste per farlo: Joe Bonamassa e Josh Smith alla produzione e alle chitarre in questo senso sono una garanzia. Lucente è Have a Talk with God, Nobody Moves Me Like You Do è muscolare al punto giusto, No One to Talk to (But the Blues) è divertente. Menzione per la ballad strappalacrime Forever My Love. (gianluca diana)