JAZZ ITALIA
Pochi
ma buoni

La Da Vinci è un’etichetta discografica giapponese che lavora sia sul versante classico, sia su quello jazzistico. Pubblica pochi titoli ben scelti, meritevoli di ascolti attenti. Come Find a Light, secondo progetto per il duo formato da Massimiliano Milesi al sax tenore e Giacomo Papetti al basso acustico. Le corde basse in questo dialogo sembrano qui arpa, kora e liuto, walkin’ puntuale e ricerca, il sax ha una pronuncia «soffiata» e con un vibrato che ricorda i grandi maestri nordici. Registrazione effettuata nel Santuario dell’Avello nel bresciano. È nato invece in Campania Sete, dal Trio guidato dal batterista Antonio Fusco con Manuel Magrini al pianoforte e Ferdinando Romano al basso. Ricca tavolozza armonica e melodica, interplay serrato ed emozionante. Orange Home Records, label indipendente ligure, pubblica Ianua di Andrea Paganetto, giovane trombettista e compositore genovese che riunisce un gruppo intergenerazionale favoloso con Marco Bellafiore, Maurizio Brunod, Rodolfo Cervetto e ospiti Anais Drago e Francesco Bearzatti. Vitale, inventivo, un disco che resterà. (Guido Festinese)

JAZZ
Aree variamente
sperimentali

Jazz al femminile negli Stati Uniti declinato in aree variamente sperimentali, dove la ricerca non è disgiunta da riletture delle radici: è il caso di Sky (Dreck to Disk Records) di Will Bernard & Beth Custer, due veterani, rispettivamente alla chitarra e al clarinetto (e voce) che, a parte la versione minimal di John Brown Body, insistono su 15 brevi original, in una forma-canzone omaggiante differenti stili musicali. Taking Shape (Greenleaf Music) segna il debutto newyorkese per la Kaisa’s Machine della contrabbassista/compositrice finlandese Kaisa Mäensivu: in quartetto con piano, chitarra, batteria, a cui s’aggiungono tenore e vibrafono in 7 degli 11 pezzi in scaletta, le istanze nordiche cedono via via il passo alle atmosfere tipiche del jazz di Brooklyn in un gioco ben marcato tra vecchie e nuove sonorità. Infine The Glass Hours (Biophilia Records) di un’altra leader al contrabbasso, Linda May Han Oh, molto richiesta allo strumento da parte di celebri jazzmen, vede qui, non a caso, un gruppo stellare offrire una musica in linea con le migliore istanze del nuovo jazz progressista. (Guido Michelone)

BLUES
Incandescente
old school

Estate torrida e blues incandescenti. Particolarmente in stato di grazia è The Nick Moss Band featuring Dennis Gruenling come si apprezza grazie al travolgente Get Your Back into It! (Alligator Records), dove i nostri eroi danno fuoco alle polveri della vecchia scuola del blues danzereccio Cinquanta e Sessanta. In sintesi, con la qualità per cui sono ben noti, tirano giù quattordici brani fatti a meraviglia che li pongono tra le uscite più divertenti e ritmiche dell’anno. Vi è l’imbarazzo della scelta, grazie a sassate incredibili come Man on the Move, Bait in the Snare e Scratch and Sniff. Meravigliosi. Muscolare a dismisura è Eric Johanson: lo dimostra in The Deep and the Dirty (Ruf), dove il bluesman di Alexandria, Louisiana, con il suo power trio non lesina energia, garantendo ardore ed empatia. Notevoli sono Just Like New e Don’t Hold Back. La Liberation Hall pubblica Live at the Ash Grove July 1, 1971 di Freddie King. Si tratta di quattro tracce registrate nel club di Hollywood. Il bluesman è in forma, come certifica Have You Ever Loved a Woman. (Gianluca Diana)

ALT POP
Ballad,
che passione

Tre modi di essere cantautori, guardando indietro nel tempo. Il primo nome in lista è quello dell’inglese Oscar Lang con Look Now (Dirty Hit/Self). Nelle sue composizioni, di chiaro ambito indie pop, esprime una «malcelata» passione per le ballad «piano driven», sulla scia di quanto fatto da gente come Elton John o Paul McCartney in patria, o Billy Joel dall’altra parte dell’oceano, ma si percepisce anche un sentore più attuale che riporta a Gaz Coombes. Chiama il proprio stile «pop essentialism» e a sentire il suo terzo, omonimo, disco, (Jagjaguwar/Goodfellas), non si può che essere d’accordo. Stiamo parlando di Cut Worms, cantante e autore che ci riporta a quel sano pop disincantato, tra gli anni Cinquanta e Settanta. Ci piace. Terzo e ultimo nome, quello di Sam Burton con Dear Departed (Partisan/Self). L’artista di Los Angeles con l’apertura Pale Blue Night ci fa bloccare il fiato, per un momento ci è sembrato di riascoltare il grande Tim Buckley, a cui chiaramente si ispira, insieme ad autori più attuali come Jonathan Wilson o Father John Misty. (Roberto Peciola)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

CLASSICA
Una «fuga»
impossibile

JOHANN SEBASTIAN BACH
THE ART OF FUGUE (Harmonia Mundi)

***** Il Cuarteto Casals di Abel Tomàs Realp e Vera Martinez Mehner (violini), con Jonathan Brown (viola), Arnau Tomàs Realp (violoncello) esegue uno dei capolavori dell’umanità nonché uno dei tanti misteri nella storia della musica: quattro parti scritte per strumenti non specificati (clavicembalo? e le voci?), tredici contrappunti, quattro canoni, una tripla fuga incompiuta sulle lettere del proprio nome. L’Arte della fuga pare scritta affinché gli esecutori ignorino il pubblico: ma quando un talentuoso quartetto d’archi, come questo, si mette al lavoro viene «fugato» ogni dubbio. (guido michelone)

 

INDIE ITALIA
La disillusione
del bisturi

BELZER
UN ELEGANTE DISASTRO (Mga)

**** Se in Italia ci fosse un po’ meno attenzione pilotata per la musica leggera, anzi, leggerissima, e si pretendesse da una band indipendente inventiva nei testi, magari con qualche spicchio di poesia (e un premio poetico l’hanno vinto davvero), intelligenza negli arrangiamenti, capacità di riassumere l’ultimo quarantennio di storia dell’indie rock d’autore, i Belzer sarebbero delle superstar. Questo è il loro terzo disco, amaro, affilato come un bisturi e disilluso, nella rivendicazione della «dignità di un’altra epoca che risuona ancora». (guido festinese)

 

ALT ROCK
Garanzia
trentennale

BLUR
THE BALLAD OF DARREN (Parlophone)

**** Nono capitolo di una storia ultratrentennale, quella di una band che ha saputo essere se stessa, senza mai ripetersi ma creando al contempo un sound personale e unico. Damon Albarn ha le redini della situazione, scrivendo una serie di brani che prendono forma di ballad (vedi anche il titolo) intima, non dimenticando di lasciare spazio per qualcosa di più «grezzo», con Graham Coxon sugli scudi. Un disco alla Damon Albarn ma un disco totalmente Blur, con, grazie alla produzione di James Ford, un certo sentore Arctic Monkeys (non a caso gruppo molto apprezzato da Albarn). Una garanzia. (roberto peciola)

 

ALTERNATIVE
Lisergico
contemporaneo

KY
POWER IS THE PHARMACY (Constellation)

**** Se per caso non conoscete Ky Brooks vi consigliamo di andare a dare uno sguardo attento alla carriera della musicista canadese di Montreal, Quebec. Le precedenti e multiformi esperienze noise e punk qui rallentano e si fanno quasi cantautorato lisergico di stampo contemporaneo. Nove brani dove sembra di giungere sia dalle parti di Matana Roberts che nei luoghi digitali di certa drone music, mentre le melodie partono dal jazz per arrivare allo shoegaze e alla dance. Un album figlio dei nostri tempi, eterogeneo, stimolante e mai banale, liriche incluse. (gianluca diana)

 

JAZZ ITALIA/2
Un solismo
da esaltare

GERARDO PEPE
ORCHESTRANDO PIANO (Caligola)

**** L’album d’esordio del leader, direttore e arrangiatore Pepe è interessante. Nasce da amore e conoscenza della storia del linguaggio jazz, percorso attraverso sei composizioni di pianisti (O. Peterson, un «doppio» Monk, H. Silver, Tyner, Hancock) riviste per un convincente organico di 12 elementi. L’operazione, poco consueta, è basata su una scrittura originale che mantiene elementi pianistici ma dilata timbricamente il tutto, muove sezioni, esalta solismi. Pepe si dimostra anche buon autore con Remembering Charles, dedicato a Mingus. (luigi onori)

 

ANTHONY BRANKER & IMAGINE
WHAT PLACE CAN BE FOR US? A SUITE IN TEN MOVEMENTS (Origin Records)
**** Ottava uscita sulla label di Seattle per il compositore afrocaraibico che, qui, tratta di «luogo» e di problemi di inclusione e appartenenza, nonché di circostanze di sfruttamento e di zone di rifugio per i neri (e profughi in generale). Brillantemente eseguita dal gruppo Imagine, la suite espansiva e appassionata è altresì intrisa di struggente flusso lirico e geniale interazione ritmica. (guido michelone)

THE BUDOS BAND
FRONTIER’S EDGE (Diamond West/Goodfellas)
**** Abbandonare la casa dove si è «vissuto» per una ventina d’anni non è semplice, e non deve essere stato semplice per i newyorkesi Budos Band lasciare l’etichetta che li ha lanciati e «coccolati» per due decadi, la Daptone. Ma le cose cambiano, le esigenze variano e la normale evoluzione li ha portati verso altri lidi. Intendiamoci, la band resta ancorata a quel suono che mischia soul, afro e rock, ma qui il tutto è ancora più evidente, con sapori psych Sixties e avanguardia. Sei brani strumentali, brevi ma intensi. Lasciatevi trasportare. (roberto peciola)

TEO EDERLE 4-5TET
FISHES (Flying Robert Music)
**** I «pesci» finiti nel canestro di Teo Ederle, polistrumentista, sono guizzanti e necessarie creature sonore che hanno abitato un mare nobile e agitato: il jazz rock messo a fuoco dalle intuizioni di Davis, Zappa, Soft Machine, Weather Report, Nucleus, e in Italia da gente magnifica come Perigeo e Area. Aggiungete un po’ di psichedelia e la capacità di scrivere temi e gestire sviluppi che tengono ben lontani calligrafismo e inconsistenza strutturale, ottimi musicisti, e avrete un gran disco. (guido festinese)

MICHELE FAZIO WORLD TRIO
INFINITY (Abeat)
**** Grazia, leggerezza piumata, sostanza musicale nel saper sfiorare tutto e tutto accarezzare con un fremito di note. Il piano del leader incontra metà dei Gaia Cuatro, il contrabbassista argentino Carlos Bruschini e il violino-folletto e la voce della giapponese Aska Maret Kaneko, in più in tre tracce arriva anche il mantice travolgente di Fausto Beccalossi. Chi ha amato la new acoustic music di Montreux, Darol Anger, Barbara Highbie sa quali prelibatezze lo attendono. (guido festinese)

SHAMIR
HOMO ANXIETATEM (Kill Rock Stars)
**** Inossidabile il cantautore di Filadelfia, che rientra sorprendendo nuovamente, con un lavoro dal sapore pop punk, dove le melodie si fanno maggiormente frivole rispetto al passato. Canzoni che ruotano attorno all’amore, ma con contenuti significativi. Sharon Bailey è uno dei profili più interessanti del panorama statunitense: lo conferma piazzando un paio di notevoli hit come Without You e Crime. Non pago, chiude il disco con l’incredibile e torrido blues acustico The Devil Said the Blues is All I’ll Know. Geniale. (gianluca diana)

YANN TIERSEN
ISLAND (Brilliant Classics)
**** Un compositore di stile come Yann Tiersen che applica spesso la sua musica alle immagini, viene ora omaggiato da un disco pieno di bellezza e di riferimenti importanti. Si tratta di Island, raccolta di due opere del compositore, Eusa e Kerber. Il pianista che trasforma le sue note di delicate pitture è Jeroen Van Veen. È come se fosse musica a programma, un ritratto ad olio di paesaggi e ambienti sonori. (marco ranaldi)