COUNTRY ROCK
La saggezza
del nonno freak

Ora che Croz non c’è più, con la sua burrascosa saggezza da nonno freak per nulla svaporato o pentito di aver pensato che ci potesse essere «un altro mondo possibile», una testimonianza come Live at The Capitol Theatre (Bmg) di David Crosby con la Lighthouse Band resta come una sorta di faro che indica la via. Becca Stevens, Michelle Willis e Michael League, due generazioni in meno, per una quieta tempesta emotiva che lascia il segno: spazio a tutti, chiusura con Woodstock, tanto per fare il punto. Magnifico. Nell’agosto ’71 Crosby è ospite di un poderoso Stephen Stills al Berkeley Community Theatre. Stills ha appena completato il suo secondo solo: sul palco c’è un gruppo da sogno, rinforzato dai Memphis Horns, scorrono in Live at Berkeley 1971 (Iconic) Love the One You’re with, The Lee Shore, 49 Bye-Byes e For what It’s Worth, potenza flessuosa. Qualcuno su quelle piste, almeno parzialmente, oggi? Ascoltatevi la Rose City Band di Garden Party (Thrill Jockey). Ripley Johnson, musicista perno del tutto, ricorda l’epopea gloriosa del country rock, con raffinata nonchalance. (Guido Festinese)

INDIE ROCK
L’originalità
perduta

In fin dei conti c’è ancora chi vuole fare del sano rock, senza troppe elucubrazioni. Come, ad esempio, gli svedesi Statues che pubblicano il loro terzo album, Black Arcs Rising (Lövely Records), un disco che di originale ha poco, prendendo spunto in particolare da quell’indie rock americano Nineties (e fine Eighties) di band come Dinosaur Jr o, classico dei classici, Sonic Youth. Lo fanno bene? Sì, lo fanno bene! A proposito di America, un altro trio – come gli Statues – quello degli Old Dirty Buzzard, i quali spingono su sonorità maggiormente heavy, con nel cuore e nelle orecchie Black Sabbath e Motörhead su tutti. Ancora una volta, se cercate l’originalità non la troverete certo qui ma il risultato che potete ascoltare nel nuovo What a Weird Hill to Die on (Rotten Records) è più che buono. Rimanendo in tema, ma spostandoci dalle nostre parti, ecco il nuovo disco dei Rainbow Bridge da Barletta, Drive (Autoprod.). Un lavoro, e una band, che si rifà al più classico rock blues, da Hendrix in qua. Lunghe tirate chitarristiche che certo hanno del già sentito ma che si «riascoltano» volentieri. (Roberto Peciola)

CONTEMPORANEA
Da un estremo
all’altro

La musica colta contemporanea italiana del XXI secolo assume le forme più svariate, da un estremo all’altro, a cominciare dall’opera lirica An Index of Metals (B Records) di Fausto Romitelli, purtroppo morto quarantenne in piena attività creativa, in grado qui di reinventare il melodramma con approccio multimediale (assente purtroppo nel disco) tra ricerca elettronica spinta e visionarietà neo psichedelica. Al contrario la Sonata n. 7 per pianoforte (Tactus) di Carlo Alessandro Landini a recuperare le forme classiche di un passato per molti versi ancora vivente grazie a un preciso lavoro di ristrutturazione tematica, dove a loro volta prevalgono trasparenza, dinamismo, complessità polifonica. Infine To Tell (Ams) di Luciano Basso, dai trascorsi prog, presenta dodici brani in cui il piano da lui suonato si accompagna a flauto, violino, violino e flauto, piano a 4 mani, ribadendo un neoclassicismo cameristico che ad Arturo Bertin fa parlare di «ardite sonorità del nuovo impressionismo». (Guido Michelone)

AMBIENT
Intreccio
stimolante

Le migliori intenzioni, combinate al talento, possono produrre ottimi dischi. Partenza con la davvero brava flautista Alessandra Rombolà, che merita applausi scroscianti con Out of the Playground (Sofa Music). Mettendo assieme la propria maestria con quella di manipolatori e compositori come Daniela Terranova, Jan Martin Smørdal, Ingar Zach e Lasse Marhaug, dà vita a cinque tracce dove suoni electro e analogici si intrecciano stupendamente. Suonate Répétition e Our Forbidden Land. Sempre stimolante ascoltare Alex Zethson: lo svedese di Malmö in questa circostanza propone Terje (Supertraditional ), una colonna sonora pensata per il film muto Terje Vigen del 1917, diretto da Victor Sjöström. Circa 20 minuti, divisi in due brani, di drone e ambient nel senso più classico dei termini. Ci piace Grimstad. Valido anche il giapponese Shinkiro, al secolo Manabu Hiramoto, con Stalaktos (Subcontinental), altra lavorazione ispirata al mondo del cinema. Suoni oscuri e catartici, espressi al meglio in Entwined Memories. (Gianluca Diana)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

IMPROVISED MUSIC
Il fascino
del fiume

ENSEMBLE UN/LIONEL MARCHETTI
MÉANDRE(S)… (Les presses du reel)

***** Il fiume Dordogne si trova nella regione francese della Nuova Aquitania, un’area affascinante. Avvinti da tanta beltà, il collettivo composto dall’Ensemble UN, dal compositore elettronico Lionel Marchetti e da una serie di ricercatori (filosofi, insegnanti, biofisici, sociologi), hanno trascorso insieme le giornate tra il 24 e il 26 giugno 2021, pagaiando, suonando e registrando tra i flutti del corso d’acqua. L’esito è un lavoro multimediale composto da un disco, un dvd e un libro, dove emergono musica improvvisata, stralci di un convegno e field recording. (gianluca diana)

 

 

CANTAUTRICI
Immagini
in dissolvenza

ILARIA PILAR PATASSINI
TERRA SENZA TERRA (Parco Della Musica Records/Egea)

**** Cantante, autrice e interprete dalla voce cristallina, Patassini arriva al sesto disco con un progetto volutamente fuori dal tempo e dalle mode che da una scrittura cameristica – l’iniziale e suggestiva Antefatto in do minore – si evolve via via in una dissolvenza di immagini e stili che rincorrono la musica pop, il jazz e la classica. Testi volutamente controcorrente e contrapposti al fosco presente che stiamo vivendo tra guerre e populismi, che anelano all’autodeterminazione e alla libertà. (stefano crippa)

 

 

 

JAZZ ITALIA
Un ascolto
meditato

ANDREA POZZA
BLUE TOY (Riversound)

**** Super trio per Andrea Pozza, decano del più raffinato pianismo jazz della Penisola, con Aldo Zunino al basso e Bernd Reiter alla batteria, anzi, super quartetto, perché la voce fresca e duttile di Mila Ogliastro scintilla in cinque brani. Molte composizioni dello stesso Pozza, tutte intessute di storia profonda del jazz, da scoprire brano dopo brano, tributi a Bobby Durham, al Coltrane volante di Giant Steps, a Gershwin, al Mingus magnifico delle ultime prove. Un grande disco che invita al riascolto meditato. (guido festinese)

 

 

 

CANTAUTORI
Collaborazioni
poetiche

BILL PRITCHARD
SINGS POEMS BY PATRICK WOODCOCK (Tapete/ Audioglobe)

**** Una collaborazione davvero riuscita, quella tra il cantautore e produttore britannico Bill Pritchard e il poeta canadese Patrick Woodcock. Undici poesie musicate, suonate e cantate nel più classico stile cantautorale pop britannico, come d’altronde Pritchard ha abituato i suoi fan fin dagli esordi, nell’ormai lontano 1987. Per intenderci, un po’ Black, un po’ Nick Heyward, un po’ Al Stewart e, se vogliamo, anche un po’ Lou Reed. Un disco piacevole e rilassante. (roberto peciola)

 

 

 

JAZZ ROCK
Preziosa
testimonianza

SOFT MACHINE
THE DUTCH LESSON (Cuneiform)

**** Mentre si annuncia per fine giugno un nuovo disco, Other Doors, per una carriera che mette assieme ormai oltre cinque decenni, continuano ad affiorare testimonianze live per il glorioso gruppo rock jazz inglese che ha stabilito le coordinate del genere. Roy Babbington e John Marshall saranno nel nuovo lavoro, e c’erano anche mezzo secolo fa, in questa palpitante registrazione a Rotterdam del ’73: con Karl Jenkins a fiati e tastiere, e l’immenso Mike Ratledge ai tasti. Formazione ben poco documentata, dunque disco prezioso. (guido festinese)

 

 

 

MARC COPLAND
SOMEDAY (Inner Voice Jazz)
*** Per il prolifico pianista settantaquattrenne, questo ritorno al mainstream, in quartetto acustico – Robin Verheyen, Drew Grass, Mark Ferber – è indirettamente un omaggio anche ai trascorsi con valentissimi hard bopper (Moody, Brecker, Lovano, Berg, ecc.): non a caso fra gli otto brani in scaletta, tre sono «classiconi» del moderno, da Nardis di Davis a Let’s Cool One di Monk fino al disneiano Someday My Prince Will Come (in stile Bill Evans) tutti risolti con bella originalità. (guido michelone)

SABINO DE BARI E DIANA TORTI
IT’S ALL WE HAVE (Tamboura Music)
**** Dal 2006 va avanti il sodalizio artistico tra Diana Torti, voce e testi, e Sabino De Bari, chitarrista compositore e anch’egli abile nella scrittura dei testi. Altri apporti preziosi per il duo che opera a Londra arrivano da due signore della poesia come Emily Dickinson e Christina Rossetti. Il tutto per un disco fatto di avventurose esplorazioni timbriche, soluzioni inattese, archi melodici non banali né scontati. La voce di Torti volteggia come quella della Joni Mitchell più jazzy, le corde vibrano con pienezza e coraggio. Gran bel lavoro. (guido festinese)

FABIO DELVÒ & FELLOWS
THE CROCODILE EMBALSES (DF Records)
*** l quinto album, il leader al sax contralto e soprano, in quartetto propone una sorta di concept, ispirato, nel titolo, al coccodrillo imbalsamato visto per caso al santuario della Madonna delle Grazie nel mantovano. Otto i brani in scaletta, cinque di Delvò e tre improvvisazioni collettive, che manifestano la volontà del gruppo di continuare a perseguire un’idea di jazz lontana dal mainstream dilagante, perciò vicina alle migliori intenzioni post free. (guido michelone)

MODERN TIMES ENSEMBLE
CONNECTIONS (Alfa Music)
*** Il compositore, chitarrista (e autore dei testi) Paolo Montrone s’è messo in testa un sogno e l’ha fatto diventare realtà: riunire un’orchestra virtuale che fosse a emissioni zero, dunque il suono pieno, coordinato e flessuoso di una big band (con la voce luminosa di Ursula Gertsbach), ma con le parti registrate ognuno nel proprio studio. Alla fine, certosino lavoro di rimontaggio del tutto. Funziona, il suono è scattante, e tutti i proventi a finanziare il rimboschimento del Parco delle mangrovie nelle Filippine. (guido festinese)

STATION 17
OUI BITTE (Bureau B/Audioglobe)
*** Album numero 11 per il combo teutonico, gente che ha all’attivo collaborazioni di prestigio con Michael Rother e Holger Czukay. La loro proposta è da sempre mirata verso una sorta di «sperimentazione» pop molto «tedesca». Qui ci troviamo di fronte a brani che ci riportano quindi alla tradizione kraut ma anche all’elettronica anni Ottanta, al dancefloor e, perché no, a qualcosa che sa di sano noise. (roberto peciola)

UNAVANTALUNA
SICULO (Baracca & Burattini)
*** La «Cumpagnia di Musica Siciliana» torna con un disco composto da dieci canzoni. Il quintetto si muove nei solchi del global south, pescando a piene mani da quello che storicamente arriva e riparte dalla loro isola. Chitarre e coralità esaltano l’enfasi di Stidda disiata, il ritmo e le liriche descrivono al meglio i paesaggi evocati con L’eco di Stromboli che a tratti ricorda i ciprioti Monsieur Doumani, mentre Vurria essiri si contraddistingue per atmosfere oniriche e psichedeliche. (gianluca diana)