ART ROCK ITALIA
Contemporaneità
fuori dal tempo

Ci sono lavori che sono così fuori tempo massimo da acquisire, nei fatti, una contemporaneità che occhieggia al futuro. Ad esempio, che ne direste di una suite «cosmica», come facevano in Germania negli anni Settanta, tutta tastiere ieratiche, voci, interferenze, e intitolata Nikolaj Kulikov (Dischi Bervisti)? L’ha costruita Nicola Manzan, descrivendo le gesta di un oscuro cosmonauta sovietico chiamato a organizzare la difesa dallo spazio. Sibilano e volteggiano i synth, si viaggia tra malinconia ed epica. Un suono emotivo fino al midollo, ma pensato con rigore è quello o che scaturisce da To Tell (Ams), magnifico nuovo episodio per Luciano Basso, pianista prog attivo da cinque decenni. Dodici miniature neoclassiche tonali con piano, piano a quattro mani, flauto e violino che saldano il «secolo breve» all’oggi, verso il futuro. Per Ams anche Everything’s Changing di Luca Scherani, terzo disco solistico, dopo dieci anni: ben spesi in collaborazioni non solo col mondo neoprog, ma anche a scrivere le eleganti tessiture classicheggianti, liriche, jazz rock (con ricco parterre d’ospiti, in sala) qui riunite. (Guido Festinese)

INDIE ITALIA
Nessuna
omologazione

Tre dischi italiani molto diversi tra loro ma che dimostrano come, in vari ambiti sonori, c’è chi anche nel Belpaese sa creare musica non omologata. Cominciamo con l’hardcore virato verso il noise e lo sludge dei The Turin Horse, che debuttano con l’album Unsavory Impurities (Invisible Order), con tanto di sintetizzatori e attrezzature realizzate in proprio. Brani grezzi e spigolosi che fanno fede allo stile duro e puro scelto dalla formazione piemontese. Piacevolmente sorprendenti. Una lingua arcana, fatta di dialetto gallurese, termini italiani e vocaboli inventati, il tutto su un tappeto elettronico sperimentale e rimandi a umori folk per l’esordio di Daniela Pes, Spira (Tanca), prodotto da Iosonouncane. Un disco davvero unico nel panorama italico per un’artista di formazione jazzistica che ha dalla sua la voglia di superare barriere e ostacoli sonori, riuscendoci. Altro esordio quello del duo Double Syd con My Lonely Sun (Urtovox/Audioglobe), un disco dalle chiare influenze Sixties, con Beatles e psichedelia d’antan a braccetto con sentori pop anni Novanta di matrice Brit. Niente male. (Roberto Peciola)

BLUES
Menti
fresche

Forze fresche per il blues contemporaneo. Complimenti alla brava ed energica texana Ally Venable che prosegue nella sua maturazione con Real Gone (Ruf Records). A soli ventritré anni vanta già una manciata di dischi alle spalle e vede in quest’ultimo la presenza come produttore di Tom Hambridge, già dietro Kingfish, oltre alla partecipazione di Joe Bonamassa e Buddy Guy in un paio di brani. Non a caso, grazie al leggendario bluesman di stanza a Chicago, Texas Louisiana è a buona ragione singolo di lancio nonché il brano migliore. Pelle d’oca anche con Blues Is My Best Friend e Going Home. Una simpatica registrazione dal vivo per John Primer in Live at Rosa’s Lounge (Blues House Production). Proprio nel locale di proprietà di Guy, Primer ha realizzato un sincero e appassionato tributo alla figura del compianto Magic Slim. Il vertice arriva in Luv Sumbody. Finale con l’instancabile Half Deaf Clatch e il suo ep The Shaman (Autoprodotto), dove questa volta cerca e ispeziona a fondo la sua spiritualità, come si apprezza con Deep in the Crow Black Night. (Gianluca Diana)

TRIBUTI
Una palestra
di vita

Gli standard per ogni jazzista dovrebbero essere una palestra di vita, nonostante le inspiegabili reticenze soprattutto dei giovani italiani, non senza qualche colpa di alcuni grandi vecchi. Ma quando i jazzisti di casa nostra decidono di lavorare su repertori consolidati i risultati arrivano, non perché i brani noti siano la facile scappatoia, al contrario per il fatto che consentono di conoscere se stessi, attraverso il feeling con il pubblico. E tutto ciò per dire che l’italoamericano Rick Rosato in Homage (autoprodotto) riesce con il solo contrabbasso a far cantare, in maniera nuova, pezzi arcinoti. Anche la nuova accoppiata Guido Di Leone & Dario Deidda con In Duo (Abeat) valorizza appieno le potenzialità del confronto tra due chitarre, negli arrangiamenti cameristici, benché zeppi di swing solare, dal classico songbook afroamericano. Infine lo scozzese Nick the Nigfhtfly in Live at the Blue Note Milan (Egea), con un’italianissima orchestra nell’edizione DeLuxe che invecchia bene come il vino buono, regalando una nostalgia al quadrato ri-attualizzata. (Guido Michelone)

LEGENDA
* nauseante
** insipido
*** saporito
**** intenso
***** unico

CANTAUTORATO
Amori
eleganti

SERGIO CAMMARIERE
UNA SOLA GIORNATA (Parco della Musica Records)

**** Cantautore d’altri tempi, l’artista calabrese si è ritagliato uno spazio tutto suo grazie a brani che, oltre ad eleganza formale e ispirazione, possono vantare testi di spessore, opera dell’amico fraterno Roberto Kunstler. Le 13 tracce – dove è ancora l’amore a farla da padrone – sono un viaggio senza luogo e senza tempo in cui accanto a riferimenti jazz, aleggia il fantasma di Endrigo, Tenco e altri protagonisti di un’epoca meravigliosa. Non solo album, Cammariere ha scritto anche le musiche del nuovo film di Pupi Avati, La quattordicesima domenica del tempo ordinario, in uscita a maggio. (stefano crippa)

 

 

ETNO POP ITALIA
Il sapore
del mondo

ESPERANTO
VOICES (Da Vinci Jazz)

**** Il Trio Esperanto con la chitarra virtuosa di Luca Falomi, il basso pieno di Riccardo Barbera e le percussioni inventive di Rudy Cervetto aveva già lasciato un bel segno discografico. Qui il cuore musicale è lanciato ben oltre l’ostacolo del «difficile secondo disco»: le voci di Cluster, Ensemble Tritonus, Petra Magoni, Esmeralda Sciascia, Alessia Martegiani, Stephane Casalta, il violino di Anais Drago, il sax di Edmondo Romano, il piano di Tina Omerzo, le percussioni di Olmo Manzano: il gioco di sponde del Mediterraneo diventa il sapore del mondo. (guido festinese)

 

SPERIMENTALE
Atmosfera
cosmica

GIRON
SOMETHING STRANGE IN THE MOUNTAINS (Verlag System)

***** Nel titolo le intenzioni dell’autore iberico si manifestano con veemenza. Vi è un forte richiamo alle atmosfere cosmiche degli anni Settanta nella sua elaborazione musicale, con la conseguenza che l’aspetto onirico è il mantra che cattura l’ascolto. Giron licenzia una produzione dai forti contenuti psichedelici, al punto che gli ambiti techno e ambient risultano troppo ristretti. Opening the Crack è un’alba lucente e viva, Fluid Stones Hatching ne è il naturale e solare prosieguo, mentre And They Arrived è un pulsare psicotropo, preludio al volo electro di Robotic Crystals. (gianluca diana)

 

 

METAL
Quello che
non torna

METALLICA
72 SEASONS (Blackened Recordings/Universal)

*** Con l’età che avanza si potrebbe pensare che ci si ammorbidisca, almeno un po’. Regola che sembra non valere per i Metallica che invece spingono sull’acceleratore come se il tempo non fosse passato. Ritorno al thrash metal, con qualche momento, a metà disco, più «rilassato». Quello che però non torna del tutto è il livello generale delle composizioni, troppe, spesso troppo lunghe e con quel senso di già sentito che alla fine ti distrae da un ascolto attento. Insomma, un ritorno buono per ripartire con tour faraonici ma che non aggiunge nulla alla loro straordinaria carriera. (roberto peciola)

 

 

PSYCH POP
Gli eredi
ritrovati

TEMPLES
EXOTICO (Ato/Pias/Self)

***** Dopo un ottimo esordio, un poco più che discreto secondo album e un noiosissimo terzo lavoro, pensavamo proprio di averli persi. E invece ecco il disco (doppio) che non ti aspetti e che ti fa rivedere il giudizio sul quartetto britannico. Molto potrebbe esser dovuto alla produzione affidata a Dave Fridmann (uno che ha lavorato con Flaming Lips e Tame Impala) e Sean Lennon, ma a funzionare qui non sono solo i suoni, gli arrangiamenti, ma anche, se non soprattutto, i pezzi in sé, le melodie, assolutamente azzeccate. Che si siano trovati gli eredi di Wayne Coyne e dei suoi Flaming Lips? (roberto peciola)

 

 

ENRICO FAZIO/GIANCARLO NINO LOCATELLI
7 ROCKS (We Insist!)
**** Il duetto fra due sperimentatori di generazioni diverse – il primo, veterano, al contrabbasso e il secondo, giovane, al clarinetto basso – unite non solo da comuni interessi artistici, ma soprattutto dalla ferrea volontà di perpetuare la ricerca all’insegna di un’improvvisazione jazz, che qui ha decisi momenti free radicaleggianti, pur senza rinunciare a morbidi flussi estemporanei di sincera leggibilità melodica. (guido michelone)

ØKAPI
SORDO (ADN Experiment)
**** Ispezionando gli ambienti che si collocano a metà tra il silenzio e le lande più oscure della mente, ci si può imbattere in elementi che stimolano la creatività. Se ne ravvisa parecchia nel nuovo album dell’artista italiano che presenta sei brani dove l’incrocio tra ritmo e melodia è incessante. Non per la quantità di battiti al minuto, ma per la ricchezza sonora espressa. Un disco in cui le varie forme dell’elettronica sono piegate alla narrazione con un consistente buongusto. (gianluca diana)

MARCO POSTACCHINI BIG BAND
ONE FINGER SNAP (Alfa Music)
**** One Finger Snap è il titolo di un brano meravigliosamente scattante e deciso scritto dal signor Herbie Hancock nel 1964. Adesso è nelle mani di Postacchini, tenorista e flautista, ma qui anche direttore e arrangiatore per una big band dalla «East Coast» d’Italia che swinga, ruggisce e mostra fantastica agilità e potenza: come farsi un viaggio al tempo del Count Basie più tardo, o della Clarke Boland Big Band. Eccellenti solisti, ospiti alle voci Chiara Pancaldi e Joe Pisto. (guido festinese)

ARMANDO TROVAJOLI
NELL’ANNO DEL SIGNORE (Cinevox)
*** Per questa soundtrack del film di Luigi Magni, uscito nel 1968 e incentrato sulla Roma papalina ottocentesca, tra commedia, denuncia, anticlericalismo, il pianista/compositore ribadisce il proprio credo romantico, gigioneggiando, con superba maestria, tra citazioni folkloriche, ritmi moderni, consapevoli stereotipi dello score tradizionale. Coro dei Cantori Moderni di Alessandroni, orchestra diretta da Gianfranco Plenizio e leit-motiv per nulla filologico, all’epoca anche famoso per un’intrinseca nazional-popolarità. (guido michelone)

JOHN WILLIAMS
THE FABELMANS (Sony Classical)
***** Definire questo lavoro di John Williams come uno dei suoi regali a Spielberg è cosa scontata, infatti tutto ciò che compone per The Fabelmans è tale da rimanerne incantati. L’intera partitura risente certo della narrazione che Spielberg ha voluto dare al suo film, a una rimarcata umanità di fatti e di cose successe. Tutto quindi diventa incantante, esasperatamente bello e la malinconia è una costante naturale. Quando scrivere senza essere competitivi permette dei veri e propri capolavori. (marco ranaldi)

ENZO ZIRILLI’S ZIROBOP
TEN PAST NEVER (Ubuntu)
**** Quattro musicisti in bilico tra Italia e Inghilterra, alla faccia della Brexit, un quartetto jazz aperto con due chitarre elettriche dall’impressionante elasticità in grado di alternare ruolo solistico e prezioso supporto armonico l’uno per l’altro, il drive tutto sostanza della batteria del leader e del basso di Misha Mullov-Abbado. Si lavora su Mingus, Swallow, Monk, Mariano, Parker, su qualche original, si ricorda il grande amico Andrea Allione: il tutto è una festante onda di piena di swing. (guido festinese)